Bruxelles – Non sono solo il prossimo obiettivo per l’allargamento dell’Unione Europea o i partner per la pace e la crescita economica. I Balcani occidentali si ritagliano anche il ruolo di interlocutori privilegiati di Bruxelles per l’implementazione delle nuove politiche energetiche e ambientali del Green Deal nel continente. È quanto suggerisce l’organizzazione non governativa Climate Action Network (CAN) Europe nella sua analisi delle quattro relazioni sui progressi di Albania, Macedonia del Nord, Kosovo e Serbia lungo il cammino UE, adottate lo scorso 25 marzo dal Parlamento Europeo in sessione plenaria. Il punto di partenza sono proprio le “azioni rapide e concrete” per la decarbonizzazione della regione.
È stata accolta con favore la Dichiarazione sull’agenda verde per i Balcani occidentali (siglata lo scorso 10 ottobre nel summit di Sofia tra UE e Paesi balcanici), che ha dato nuova linfa all’iniziativa della Commissione Europea per sostenere la transizione energetica dei partner strategici. Tutte le relazioni del Parlamento UE sottolineano l’importanza dell’impegno dei quattro Paesi per raggiungere la decarbonizzazione delle proprie economie entro il 2050, in linea con gli obiettivi dell’Unione. Secondo il Climate Action Network Europe, ora serve però una pianificazione concreta e dettagliata delle misure da adottare.
Viktor Berishaj, coordinatore per la Politica energetica dell’Europa sudorientale al CAN Europe, ha posto l’accento sul fatto che le relazioni sull’allargamento UE nei Balcani occidentali “riflettono molte preoccupazioni” degli esperti che lavorano sui temi del clima e dell’energia. “Le condizioni sono mature” perché si facciano “passi avanti verso una regione più sana, lungo il suo cammino di adesione all’Unione”, ha precisato.
Problemi presenti e sfide future
Per i Paesi dei Balcani occidentali questo 2021 è un momento cruciale per la definizione dei Piani nazionali per l’energia e il clima (NECP) e la revisione dei contributi nazionali determinati (NDC). Per la regione ci sono obblighi da rispettare, secondo gli impegni assunti da tutti i governi attraverso l’Accordo di associazione di stabilizzazione e il trattato della Comunità dell’energia. L’inosservanza o il regresso degli standard ambientali nell’armonizzazione delle legislazioni nazionali potrebbe avere un impatto sul terzo pacchetto dello strumento di pre-adesione (IPA III): è proprio il Parlamento UE a chiedere la condizionalità nel finanziamento e a minacciare l’uso del meccanismo di sospensione.
Come evidenziato dall’analisi dell’organizzazione non governativa, l’inquinamento atmosferico è un problema che soffoca tutta la penisola, dal momento in cui i Paesi balcanici faticano a rispettare il quadro sui limiti delle emissioni di agenti inquinanti. Lo dimostra il fatto che lo scorso 16 marzo il segretariato della Comunità dell’energia ha avviato procedure di risoluzione delle controversie contro Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord e Serbia per non aver rispettato i Piani nazionali di riduzione delle emissioni (NERP).
Soprattutto Kosovo, Serbia e Macedonia del Nord dipendono in modo consistente dal carbone per la produzione di elettricità. I rispettivi relatori al Parlamento UE (Viola von Cramon-Taubadel, Vladimír Bilčík e Ilhan Kyuchyuk) hanno sottolineato la necessità di eliminare sistematicamente la fonte inquinante e diversificare le modalità di approvvigionamento energetico. Il primo passo dovrà essere la soppressione dei sussidi statali al carbon fossile, una delle principali ragioni per cui la transizione energetica nella regione è in ritardo.
Nel complesso ci sono comunque margini di ottimismo. Nell’ultimo anno e mezzo Kosovo, Montenegro e Macedonia del Nord hanno interrotto i loro piani per lo sviluppo di nuovi progetti per il carbone e Skopje ha assunto il ruolo di guida per la pianificazione dell’eliminazione graduale della dipendenza da carbone prima del 2030.
Contemporaneamente c’è però da affrontare il problema rappresentato dall’afflusso di investimenti esteri extra-UE. In particolare per quanto riguarda Serbia e Bosnia ed Erzegovina, si riscontra una mancanza cronica di trasparenza e di valutazione dell’impatto ambientale e sociale degli investimenti cinesi. La penetrazione economica di Pechino nella regione, attraverso la Nuova via della Seta (Belt and Road Initiative), sta portando con sé capitali massicci dalle banche cinesi, che vanno ancora a supportare progetti basati sullo sfruttamento del carbon fossile. E che rischiano di rendere vani gli sforzi di attuazione di un Green Deal nei Balcani occidentali.