Bruxelles – Recovery Fund, cronaca di una morte annunciata? A seminare il dubbio è il centro studi e ricerche del Parlamento europeo, nell’analisi sull’impatto della pandemia di COVID per le industrie realizzato su richiesta della commissione Industria e Turismo. Qui, nell’esporre le ricadute economiche della crisi sanitaria e il confinamento che ne è seguito, si ricorda l’intervento dell’UE per favorire il rilancio dell’economia dopo il suo spegnimento. Ed è a tal proposito che si mette in dubbio la capacità di Italia e Spagna di fare i compiti per casa, peraltro tutt’altro che facili.
Quando si parla di pandemia e di strategia di rilancio, si legge nello studio, “è importante riconoscere che il recovery fund ha obiettivi molto alti, che sono al limite dell’incompatibile e dell’irrealistico”. Si specifica, quindi, che al limite dell’irrealizzabile risultano l’ambizione che i piani nazionali siano rapidamente approvati e attuati riflettendo il legame con la pandemia, la necessità di piani e riforme ambiziosi e trasformativi con una visione a più lungo termine, e la richiesta di completare le tappe fondamentali per dimostrare progressi in un periodo relativamente breve per poter ricevere rimborsi.
Praticamente si mette in discussione l’intera architettura del piano per la ripresa. Anche perché, continua l’analisi, “la sfida è aggravata” dal fatto che alcuni Stati membri, “in particolare Spagna e Italia, sono notevolmente in ritardo negli impegni e nei pagamenti del bilancio pluriennale comune 2014-2020″. Fanno fatica in sostanza a impegnare e spendere i soldi che l’Europa già mette a disposizione in periodi normali. “Non è quindi stravagante chiedersi quanto sia ragionevole aspettarsi una rapida accelerazione del numero di buoni progetti con una visione trasformativa a lungo termine rispetto a quelli del nuovo bilancio pluriennale”.
Tutte frecce per l’arco di quanti non ne vogliono sapere di produrre debito comune. C’è in Europa che non è convinto di mettere risorse nazionali per aiutare altri Stati membri, specie quelli considerati meno meritevoli. E’ già stato detto che la ripetizione di un progetto come quello del meccanismo per la ripresa e la creazione di debito comune potrà essere replicato solo se funziona. Quindi Spagna e Italia, che sono quelli ad avere i maggiori interessi affinché tutto vada per il meglio, sono quelli che rischiano di far saltare tutto, secondo i ricercatori del Parlamento UE.
Ma non è solo un problema di minore o maggiore capacità nazionale. E’ tutto l’impianto della strategia così come concordato a livello europeo ad alimentare dubbi di fattibilità. Si ricorda come a Corte dei conti europea abbia “già espresso preoccupazione per l’elevato numero di obiettivi, molti dei quali sono molto brevi e difficili da monitorare”. Un rilievo, si spiega, che “evidenzia il rischio di indebolire l’impatto distribuendo in misura esigua il finanziamento su molte aree di intervento“. Tanti soldi ovunque, che diventano insufficienti per tutti. Questo, in sostanza, il rischio. A cui si aggiunge l’incapacità di alcuni governi a utilizzare le risorse.
Tre premesse e promesse il divario rischia di essere molto elevato. Il Recovery può diventare il più grande fallimento della storia dell’UE. Ammesso che si faccia. Perché intanto sul futuro della strategia comune grava il ‘nein’ della Corte costituzionale tedesca, che ha sospeso il processo di ratifica dell’accordo sulle risorse proprie utile a finanziare il recovery fund in attesa di vederci chiaro. Non ci si fida, e il documento di lavoro della commissione Industria del Parlamento europeo conferma questi scetticismi.