Bruxelles – Avere voce in capitolo nell’elaborazione e nell’attuazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza. Lo chiedono 12.000 città e regioni d’Europa che rischiano di rimanere indietro nella gestione della pandemia, alle porte dell’ultimo Consiglio europeo prima del 30 aprile. Entro questa data gli stati membri dovranno presentare i rispettivi piani alla Commissione europea.
Megafono dell’appello è l’Alleanza per la Coesione, promossa nel 2017 dal Comitato europeo delle regioni e da 6 grandi associazioni di comuni e regioni europei (tra cui Eurocities) per chiedere che le trattative per il bilancio europeo post-2020 non lascino fuori le esigenze dei territori, consolidando così la politica di coesione dell’Ue. Oggi l’Alleanza parla a nome di tutti gli amministratori locali (sindaci, consiglieri comunali, presidenti di regione e provincia) che sono in prima linea nella lotta al coronavirus. Gestire una crisi sanitaria, sociale ed economica è complesso, lamentano, e richiede un approccio che tenga conto della “governance multilivello” e basato sul territorio. Le sfide sono comuni e la ripresa dipenderà dalla collaborazione tra livello locale, regionale, nazionale ed europeo. Dalle zone rurali e più isolate alle metropoli, passando per isole e aree montane, durante la pandemia comuni e regioni d’Europa si sono uniti, dando luogo a piattaforme di scambio di politiche e buone pratiche. Una di queste è quella dello stesso Comitato delle regioni, prima istituzione a proporre un meccanismo Ue per le emergenze sanitarie di sostegno diretto a città e regioni.
Già in un sondaggio di fine gennaio condotto dal Comitato e dal Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa(CCRE) era emerso che i governi centrali non rendono gli enti subnazionali adeguatamente partecipi delle trattative sul PNRR. Dal novembre scorso all’inizio di quest’anno, solo i rappresentanti locali di sei stati (Repubblica ceca, Francia, Irlanda, Polonia e Slovacchia) avevano ricevuto una copia del piano, e solo uno su sei ne reputava il contenuto “in larga misura” in linea con le esigenze da affrontare. Da altri dati si comprende invece che i piani si rivelano più efficienti nell’attuare la duplice transizione verde e digitale.
E quando si passa all’utilizzo effettivo dei contributi che i pochi enti locali coinvolti riescono a dare, il quadro è più desolante: resterebbero quasi del tutto inutilizzati fino alla pubblicazione definitiva del piano. Quali sono le cause? “L’ostacolo principale è semplicemente la mancanza di volontà del governo nazionale”, dichiarava Michael Murphy (Irlanda, PPE) presidente della commissione per la politica economica del CdR che ha presentato il sondaggio. A questo si aggiungono i pochi contatti tra alcune amministrazioni locali e il ministero preposto alla gestione del piano, la mancanza di tempo e la modalità di interazione sbagliata.
Invece, afferma Dario Nardella, sindaco di Firenze e presidente di Eurocities, la collaborazione tra governi nazionali e locali è essenziale, pena l’esclusione delle persone più colpite. Oltre ad avere un impatto sulla capacità gestionale di città e regioni, questo mette a repentaglio l’efficacia stessa dei piani di ripresa.
È giusto allora chiedere a capi di stato e di governo un maggiore coinvolgimento nell’elaborazione dei piani, anche considerato che città e regioni spendono un terzo dei fondi pubblici dell’Ue e ne gestiscono metà degli investimenti.
Nell’appello, l’Alleanza per la coesione chiede anche la ratifica celere, da parte dei parlamenti nazionali, della decisione sulle risorse proprie con cui la Commissione potrà indebitarsi sui mercati fino a 750 miliardi a nome dell’Ue. Infine, che la concorrenza sulla distribuzione dei vaccini non sia l’ennesimo fattore che approfondisca le disparità, creando un vero e proprio “divario vaccinale“. Sempre Nardella ha dichiarato oggi in un’intervista a La7 che “il vaccino è un bene pubblico e non può diventare una discriminante tra Paese e Paese”, e che è auspicabile “un coordinamento anche nella campagna vaccinale”.
L’appello di questi giorni delle regioni d’Europa è in sostanza un grido d’allarme, già ampiamente anticipato nel luglio scorso dalla versione 2.0 dell’Alleanza per la coesione. La nuova dichiarazione chiedeva una forte cooperazione tra territori europei, oltre a un approccio “dal basso” per l’esecuzione dei piani di ripresa, e strumenti complementari ai fondi strutturali ed altri strumenti Ue, pur senza ridurre i fondi di sostegno alla coesione già previsti per gli stati e le regioni.
In altri casi, è lo stato nazionale a rivelarsi inadatto a gestire i fondi per la ripresa e l’intervento delle amministrazioni locali è auspicabile. Il Patto delle Città Libere stretto a dicembre 2019 tra le capitali del Gruppo di Visegrád (Varsavia, Bratislava, Praga, Budapest), ad esempio, chiedeva ai governanti di reindirizzare i fondi di coesione direttamente al livello locale se quello nazionale si macchia di frode e corruzione, o se non rispetta lo stato di diritto. Un esempio di cooperazione rafforzata tra città e messa in comune di risorse per identificare soluzioni vicine ai cittadini.
Anche dopo l’approvazione dei PNRR, il Comitato delle regioni continuerà a monitorare i dispositivi per l’attuazione dei piani. Lo farà fino alla prossima Settimana delle regioni e delle città il prossimo autunno, quando promuoverà la prima edizione di un Forum per la ripresa e la resilienza.