Di Maria Concetta Valente
A dieci anni dal fallito tentativo di rivoluzione contro il regime degli al-Assad in Siria, che poi si è trasformato in una sorta di permanente guerra civile tra governo, bande e gruppi religiosi estremisti che ha prodotto milioni di rifugiati, l’Unione Europea torna ad interrogarsi sul proprio ruolo e a manifestare la necessità di ricorrere ad una nuova strategia.
Il 29 e 30 marzo la comunità internazionale si riunirà, in modalità telematica, per la V Conferenza dedicata al conflitto medio orientale dal titolo “Sostenere il futuro della Siria e della regione”. Ad essa parteciperanno governi ed organizzazioni internazionali, nonché i rappresentanti della società civile siriana.
Molti e significativi sono i temi sul tavolo della conferenza: l’impatto del Covid-19 sulla già critica situazione umanitaria, le conseguenze della guerra sui bambini e la loro istruzione, e ancora, donne, giustizia e diritti umani.
È indubbio che il sostegno finanziario rimane il vero nodo politico. I rappresentanti delle Nazioni infatti sono chiamati ad un accordo sul contributo economico da stanziare per la Siria e per i Paesi ad essa confinanti ed ospitanti i 6 milioni di rifugiati: Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto.
Lo scorso giugno, la quarta conferenza internazionale sulla Siria aveva stanziato 6,9 miliardi di euro per il 2020. Versandone il 71% l’Unione Europea ha confermato essere il maggiore donatore di aiuti umanitari. Dall’inizio del conflitto ad oggi, gli Stati membri hanno stanziato oltre 24 miliardi di euro.
Come dichiara l’Alto rappresentate dell’UE per la politica estera Josep Borrell: “L’Unione europea resta impegnata a favore dell’unità, della sovranità e dell’integrità territoriale dello Stato siriano”. Lo stesso rappresentante dimostra di essere poco fiducioso riguardo le elezioni in Siria previste tra aprile e maggio che, organizzate dal regime, non possono a suo parere “contribuire alla soluzione del conflitto né portare ad alcuna misura di normalizzazione internazionale con il regime siriano”. Ad ogni modo l’Unione Europea si dice pronta a sostenere elezioni libere ed eque.
Non dobbiamo comunque dimenticarci che attorno alla Siria ruotano importanti interessi geopolitici. Durante il seminario “The Syria Conflict, Ten Years on: What Role for the EU”, Rim Turkamani, direttrice del programma di ricerca sul conflitto siriano della London School, ha riconosciuto nella strategia internazionale un prevalere degli interessi economici e delle relazioni commerciali sulla volontà di porre fine alla guerra. Infatti, per molti paesi essa rappresenta un’occasione di business ed un’opportunità per acquisire centralità nella partita geopolitica internazionale. Turkamani ha evidenziato come una soluzione duratura al conflitto siriano non possa più essere ricercata attraverso l’utilizzo delle armi: “Ora è veramente tempo di pensare ad una nuova strategia”.
Tuttavia lo scenario attuale è reso ancora più drammatico dall’assenza di speranza nella giustizia del popolo siriano. La parola fine sembra lontana dall’essere pronunciata.