Bruxelles – Il recovery fund è un’opportunità per il tessuto delle piccole e medie imprese, anche se molte PMI non l’hanno capito e hanno bisogno di essere guidate nella realizzazione dei loro affari e del rilancio del sistema Paese. Con l’aiuto della politica, ad ogni livello, con agenzie di consulenza e sostegno, con nuove strategie di impresa. E’ quanto emerso dallo smart event di Eunews L’impatto del Recovery Fund sulle PMI: quali benefici per le aziende che costituiscono la “spina dorsale” dell’economia e dell’occupazione?
Solo in Italia le PMI sono 159mila, tra piccole (132mila) e medie (27mila). Valgono 1.054 miliardi di euro di fatturato, e sono fonte di lavoro per 4,2 milioni di persone. Una vera e propria risorsa a cui si deve guardare per poter parlare di ripresa. E a loro il meccanismo per la ripresa dell’UE, Next Generation EU, guarda con grande attenzione. Perché l’Italia non è l’unico esempio di eccellenza imprenditoriale. Le PMI sono il 99% delle imprese in Europa, contribuiscono a due terzi dell’occupazione a dodici stelle e a metà del PIL europeo.
“Senza la ripresa delle PMI non c’è ripresa a livello europeo”, scandisce Adelaide Mozzi, della rappresentanza della Commissione europea in Italia e membro della task force per la ripresa. “La ripresa delle piccole e medie imprese può contribuire al rilancio del mercato unico in modo forte, nel momento in cui c’è bisogno di fare rete”. Dunque in questo contesto “è importante la dimensione italiana, ma ancor più quella europea”. In Italia come altrove “si tratta di mettere a sistema le risorse e come meglio usarle“, visto che c’è l’esigenza di investire in digitalizzazione e sostenibilità e “c’è un 60% di persone che dichiara ad avere problemi ad andare verso direzioni più sostenibili”.
Si pone un problema che non è dunque solo gestionale e d’impresa. “Non si tratta solo di investimenti, ma pure di riforme che possano aiutare questi investimenti“, continua Mozzi, che invita gli Stati membri a fare in modo che si possano trovare “origini di finanziamento diverse”, con “riforme che migliorino il contesto imprenditoriale”. Serve dunque “una pubblica amministrazione a misura di imprese”, e questo una volta di più ribadisce come il recovery fund, principale strumento finanziario del più ampio Next Generation EU, “serve per investimenti e riforme”. Adesso, dunque, serve “si tratta di fare scelta corretta e una corretta programmazione, che non è un esercizio UE”.
Fondamentale dunque il ruolo di poteri centrali e locali. Le imprese non riescono ad orientarsi. Ci sono soldi e opportunità, ma anche troppa indecisione. Il sondaggio creato da Eunews per l’occasione mostra che solo il 54,4% delle PMI intervistate ritiene che il recovery fund sia un’occasione di rilancio, con il 42,22% che dice di non saperlo. Motivo per cui serve un cambio di passo. “Come Unioncamere abbiamo messo in campo il meglio che abbiamo per aiutare le imprese in questo momento ricco di opportunità”, dice Flavio Burlizzi, direttore di Unioncamere Europa . “Serve impegno condiviso e largo, siamo tutti responsabili”. Di storie di successo come di fallimenti che nessuno vuole perché nessuno se le può permettere.
Se Adelaide Mozzi chiama in causa la politica nazionale e locale, la vicepresidente della commissione Industria del Parlamento europeo, Patrizia Toia (PD/S&D) esorta le PMI a sfruttare altre strade che meritano di essere batture. Siccome in questo processo di rilancio “fondamentale è il tema dell’innovazione tecnologica”, altrettanto “centralissimo” può e deve essere il ruolo di “centri di ricerca che assistono le piccole e medie imprese nei loro bisogni”, così da “individuarli e aiutareua a trovare soluzioni”. inoltre, continua l’europarlamentare, “ci sono anche agenzie nazionali, uffici regionali di assistenza, associazioni di categoria” che possono essere utilizzate come ‘sportello PMI’. “Si tratta di aprire un dialogo con le singole regioni“, il consiglio di Toia. Che non si ferma qui.
Se si vuole sfruttare appieno il potenziale della strategia europea “servono azioni di supporto, accompagnamento, consulenza, chiamatela come volete”. E in tal senso Toia suggerisce anche di rivolgersi al Consiglio europeo per l’innovazione. Istituito allo scopo di identificare, sviluppare e ampliare le tecnologie innovativa di ultima generazione, lo European Innovation Council, con una dotazione di 10,1 miliardi di euro, deve essere utilizzato in modo che “non sia solo diretto all’innovazione, ma uno strumento per le PMI“.
Su una cosa Commissione e Parlamento UE convergono: l’importanza di associarsi. Lo ripetono Mozzi e Toia, nel corso dello smart di Event. “Spesso la singola impresa non ha personale sufficiente, non ha tempo e risorse per un fare il bando. Associarsi allora può aiutare”. Perciò l’obiettivo ora è “fare sistema non solo tra le imprese, ma anche con il mondo della ricerca e la Pubblica amministrazione”.
Un’esigenza quanto mai necessaria per intervenire a livello ‘psicologico’ e culturale. “E’ necessario lavorare per superare la sfiducia che si crea nelle PMI per la gestione di un bando europeo“, sottolinea Massimo Catania, presidente di Contributi Europa, società di reporting informativo, attiva nel recepimento di bandi, normative e iniziative e li traduce in documentazione per le imprese. “I Fondi europei sono utilizzati solo al 42%”, denuncia. La difficoltà a intercettarli è alta. “Dalle piccole e medie imprese riceviamo richieste di sostegno per green economy, digitale e internazionalizzazione”. Esattamente quello che serve per lasciarsi la pandemia e la sua recessione alle spalle”. La pandemia, continua Catania, “ci ha dimostrato cosa vuol dire non essere digitali, da processo di vendita, accesso a dati, smart working”, e ha fatto capire che oggigiorno “ogni azienda deve digitalizzare i propri processi, da smartworking, ai cloud, alla comunicazione”. Allo stesso tempo, “green è un’opportunità e non un costo: questo è il messaggio che deve arrivare agli imprenditori”.
📼 Rivedi la registrazione dell’evento su YouTube: https://youtu.be/cDLF4-Q3ST8