Bruxelles – Il Parlamento europeo dà il via libero definitivo all’introduzione di un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere dell’Ue, non senza mostrarsi spaccato sull’argomento. La plenaria ha dato luce verde con 444 voti a favore, 70 contrari e 181 astenuti al progetto di risoluzione a prima firma Yannick Jadot dei Verdi, con cui il Parlamento vuole influenzare la proposta legislativa che la Commissione europea dovrebbe fare a giugno per una nuova tassa sul carbonio alle frontiere da introdurre al più tardi entro il 2023, come nuova entrata fiscale dell’Unione.
Come scrivono i deputati nella risoluzione, le importazioni nette di beni e servizi nell’UE rappresentano oltre il 20 per cento delle emissioni interne di CO2 dell’Unione. E per prevenire la pratica di “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”, Bruxelles vuole applicare un prezzo al carbonio alle importazioni dai Paesi extra Ue per evitare che i settori più inquinanti dell’industria europea spostino la produzione nei Paesi in cui ci sono norme sulle emissioni meno ambiziose o controlli meno stringenti, svantaggiando di fatto le imprese che invece continuano a produrre in Ue.
Nei voti sugli emendamenti al progetto di risoluzione che si sono svolti martedì 9 marzo, però, una parte del Partito popolare europeo, gruppo maggioritario nell’Emiciclo, si è opposta a uno degli elementi chiave della relazione ovvero la graduale abolizione delle quote assegnate gratuitamente alle società europee, per consentire loro di affrontare la concorrenza internazionale. Questo “diritto” delle industrie dell’Ue è previsto dal sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (EU-ETS) per sostenere la competitività delle industrie considerate esposte a un rischio di delocalizzazione.
Il PPE si è mosso a tutela di questo “diritto” delle industrie europee. Il relatore ombra per i Popolari della commissione per l’Ambiente, Adam Jarubas, si era già espresso sulla questione nel dibattito in plenaria che si è svolto lunedì 8 marzo, e secondo lui “porre fine alle quote libere avrà un effetto negativo sulle esportazioni”. Detto fatto. L’emendamento che era stato presentato per eliminare gradualmente è stato bocciato dalla plenaria con 334 deputati che hanno votato per mantenere le indennità gratuite, 329 contro e 23 si sono astenuti. Passa in sostanza la linea dettata da BusinessEurope e da alcune industrie europee – Eurofer, CEFIC, Cembureau e Fertilizers Europe – che la scorsa settimana hanno chiesto al Parlamento di far coesistere le quote gratuite con la nuova tassa europea.
Molto contrariati i Verdi europei, che hanno deciso di astenersi. Mantenere sia il meccanismo di aggiustamento del carbonio che le quote gratuite “non solo ci impedirebbe di rafforzare la nostra politica climatica incoraggiando la decarbonizzazione delle industrie inquinanti, ma metterebbe anche in discussione la nostra capacità di difendere questo strumento dinanzi all’Organizzazione mondiale del commercio”, sottolineano in una nota. “Nell’era del riscaldamento globale è irresponsabile dare all’industria un pass gratuito per le emissioni”, commenta l’eurodeputato dei Verdi Michael Bloss. “Per 15 anni, l’industria ha beneficiato di certificati di CO2 gratuiti. Vediamo il risultato nelle emissioni che sono diminuiti di un misero uno per cento”.
Secondo la risoluzione, si dovrebbe partire già nel 2023 con il settore energetico e i settori industriali ad alta intensità energetica come quelli del cemento, dell’acciaio, dei prodotti chimici e dei fertilizzanti, “che continuano a ricevere consistenti assegnazioni gratuite e rappresentano il 94 per cento delle emissioni industriali dell’Unione”. Dovrebbe poi espandersi per includere le importazioni in Europa di tutti i “prodotti e materie prime” coperti dal sistema di scambio di quote di emissioni dell’UE (ETS). Il prezzo del carbonio nel nuovo meccanismo – specificano gli eurodeputati – dovrebbe essere lo stesso prezzo delle quote di emissioni di gas serra nell’ETS.