A Bruxelles sta crescendo il nervosismo sui numeri dei vaccini. Per la precisione ora è il turno dei numeri delle dosi esportate dall’Unione europea verso altri Paesi. Il clima pesante è quello del prossimo esplodere di un qualche scandalo, ma potrebbe anche essere, e temiamo che sia, la prova di una grande incapacità comunicativa da parte della Commissione che tenta di velare una qualche competizione interna.
Il vaso di Pandora è esploso con la decisione di Mario Draghi di vietare ad AstraZeneca l’esportazione di 250mila dosi in Australia, decisione approvata, compre dicono le regole, dalla Commissione.
I giornalisti qui a Bruxelles hanno iniziato a fare qualche domanda su quante domande di export fossero state fatte dopo l’introduzione, il primo febbraio, del regime per chi l’export di vaccini anti COVID è tendenzialmente vietato, a meno di un espresso consenso della Commissione europea. La prima risposta che abbiamo sentito, da una fonte molto autorevole è stata “35 o 37” ma solo “per piccole quantità, legate più che altro alla ricerca o a emergenze”, e si assicurava che non erano più di qualche centinaio di dosi.
Il giorno dopo esce che invece erano circa 170 le domande avanzate, e tutte soddisfatte, tranne quella fatta all’Italia.
Oggi due autorevoli testate, The New York Times e il Foglio, tornano sul tema e danno cifre molto diverse, anche tra i due giornali. Quello statunitense scrive che sono stati circa 25 milioni le dosi esportate, principalmente in USA e Gran Bretagna, ma anche in Australia. Il giornale italiano scrive invece che le quantità sono ben maggiori, circa 34 milioni, con circa 250 autorizzazioni.
Siamo solo all’inizio di una storia, che comunque vada sarà brutta, perché comunque sia è stata gestita male. Niente di male a esportare, anche 34 milioni di dosi, quando l’Unione ne ha opzionati due miliardi e mezzo. Ma, per favore, che la storia sia raccontata bene, ufficialmente, e non esca a pezzi e bocconi creando un vortice pericoloso.