Bruxelles – Quasi la metà della popolazione attiva nell’Unione Europea è stata costretta a lavorare parzialmente o completamente da remoto a causa della pandemia COVID-19. È quanto emerge dallo studio Living, Working and Covid-19 dell’agenzia UE Eurofound (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro), discusso oggi (martedì 9 marzo) durante una conferenza organizzata dalla presidenza di turno portoghese del Consiglio dell’UE. Presenti anche il direttore generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), Guy Ryder, e il commissario europeo per l’Occupazione e i diritti sociali, Nicolas Schmit.
Secondo lo studio, la pandemia ha determinato cambiamenti sostanziali nel mercato del lavoro e nella gestione della vita personale e professionale dei lavoratori, introducendo nuove esigenze come l’organizzazione di un orario di lavoro diverso e più flessibile e il diritto alla disconnessione. Il telelavoro è diventato una vera e propria realtà per la popolazione europea attiva solo dal marzo 2020, considerato il fatto che prima di allora solo il 10 per cento degli intervistati ha confermato che già svolgeva attività professionali da remoto.
Analizzando i dati, vanno evidenziate alcune differenze tra Paesi membri. In Belgio, Irlanda, Italia, Spagna e Francia sfonda il tetto dei 40 punti percentuali la quota di dipendenti e liberi professionisti che lavora esclusivamente da casa, mentre in Croazia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria e Ungheria non arriva oltre a uno ogni cinque. Viceversa, la percentuale di dipendenti che ha continuato a recarsi nella sede del proprio datore di lavoro si attesta a più della metà in Romania, Ungheria, Bulgaria e Slovacchia, contro meno di uno su quattro in Belgio e Spagna (in Italia è circa il 30 per cento).
Tra le questioni che sollevano più preoccupazioni c’è la separazione fisica tra il lavoro e gli spazi abitativi. Come dimostrano i dati di Eurofound le persone che lavorano da casa hanno molte più probabilità di indicare di lavorare regolarmente anche nel tempo libero: rispetto al 6 per cento dei dipendenti che si recano solo presso la sede del datore di lavoro o in altri luoghi fuori casa, la percentuale cresce fino al 24 per cento (uno su quattro) per quanto riguarda i telelavoratori ‘casalinghi’.
Nonostante questa dinamica, “sembra molto probabile che l’esperienza di lavorare da casa durante la crisi del COVID-19 porterà a una crescita del telelavoro quando la crisi si placherà”, si legge nello studio. L’indicazione del 78 per cento degli intervistati è quella di preferire lavorare da remoto almeno occasionalmente: non tutti i giorni (solo il 13 per cento), ma più volte a settimana (un lavoratore su tre). A Bruxelles si discute ora su come indirizzare la trasformazione del mercato e delle condizioni di lavoro su binari che rispettino i diritti dei lavoratori, anche e soprattutto di quelli ‘a distanza’.
Thanks @2021PortugalEU for inviting me to speak at your event on remote working today.
Even if the future of work is unknown, there is one certainty: decent work with adequate working conditions must be guaranteed.
Our Action Plan on #SocialRights strives for this. https://t.co/xIJhqiD6GR— Nicolas SCHMIT (@NicolasSchmitEU) March 9, 2021