Bruxelles – Era l’8 marzo 2011 quando le delegazioni della Serbia e del Kosovo si sedevano per la prima volta al tavolo del dialogo dell’UE, per trovare una soluzione sul mantenimento della stabilità dei Balcani occidentali, dopo lo scossone della dichiarazione di indipendenza unilaterale di Pristina da Belgrado (17 febbraio 2008). A guidare la missione diplomatica, Borko Stefanović per la Serbia, Edita Tahiri per il Kosovo e il consigliere speciale del Servizio europeo per l’azione esterna dell’UE, Robert Cooper.
A dieci anni esatti di distanza sono cambiati i nomi dei capi-delegazione, ma poco altro. Sono rimasti invariati non solo gli obiettivi da raggiungere, ma anche le condizioni in cui si sta svolgendo il dialogo Serbia-Kosovo mediato dall’UE: un costante impegno verbale per progredire lungo il cammino europeo da parte dei due governi balcanici, ma in un clima di sfiducia reciproca e di stallo sulle condizioni sine qua non. Una su tutte, il reciproco riconoscimento. Per usare una metafora, da dieci anni Bruxelles sta trascinando a fatica un carro senza ruote su un sentiero di montagna in salita.
La Commissione Europea però non demorde: “Questo dialogo ha reso possibile un miglioramento reale per la vita e il benessere dei cittadini dei Balcani occidentali”, ha dichiarato oggi alla stampa il portavoce Peter Stano. “Ma ormai è arrivato davvero il tempo di portare a termine questo processo“. Quello che “tutti gli Stati membri si aspettano” è un “lavoro intenso e a stretto contatto con le parti”.
Accadde oggi
I colloqui avviati l’8 marzo del 2011 furono i primi di una lunga tornata di round negoziali mediati dall’Unione Europea fino all’ottobre dello stesso anno. I tre temi principali sul tavolo riguardavano la cooperazione nella regione balcanica, la libertà di movimento tra Serbia e Kosovo e l’armonizzazione delle legislazioni nazionali.
I sette mesi di negoziati portarono a una serie di risultati sulla carta, tra cui la fine dell’embargo commerciale, il riconoscimento da parte di Belgrado dei timbri doganali di Pristina, la possibilità di varcare il confine tra i due Stati per i cittadini e la condivisione dei registri catastali e dei documenti su nascite, morti e matrimoni in Kosovo.
Seguì un altro anno e mezzo di accordi tecnici fra le delegazioni, per risolvere le questioni più urgenti a livello commerciale, burocratico e diplomatico. Fino all’inizio del 2013, quando iniziò il dialogo Serbia-Kosovo di alto livello, presieduto dall’allora alta rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’UE, Catherine Ashton. Il primo successo, a due anni dall’inizio dei negoziati, fu la firma dell’Accordo sui principi che disciplinano la normalizzazione delle relazioni, il 19 aprile del 2013. Con il coronamento del successo della mediazione europea, la Commissione UE comunicò che da quel momento sarebbero potuti iniziare i lavori per siglare l’Accordo di stabilizzazione e associazione con il Kosovo e i negoziati di adesione all’UE della Serbia.
Il 19 aprile del 2013 fu il punto più alto raggiunto dalla parabola dei negoziati: da quel momento la situazione andò sempre più deteriorandosi. Se le due parti avevano sì raggiunto un accordo che avrebbe dovuto regolare l’autonomia dei serbi all’interno del Kosovo, non erano però stati affrontati due temi-chiave per mettere in pratica l’accordo: il riconoscimento del Kosovo sovrano da parte di Belgrado e la creazione della Comunità delle municipalità serbe nel Paese con il benestare di Pristina.
Dal 2014 l’alta rappresentante UE Federica Mogherini si trovò a mediare in un clima particolarmente teso e costellato di interruzioni. Fino al definitivo congelamento del dialogo nel novembre del 2018, quando il governo kosovaro decise di introdurre dazi maggiorati del 100% sulle merci provenienti da Serbia e Bosnia ed Erzegovina.
Un anno intenso
Lo stallo per le relazioni tra i due Paesi durò 20 mesi, fino al 12 luglio dello scorso anno, quando l’alto rappresentante UE, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina e le altre questioni regionali dei Balcani occidentali, Miroslav Lajčák, sono riusciti a riportare al tavolo dei negoziati (in videoconferenza) il presidente serbo, Aleksandar Vučic, e l’ex-premier kosovaro, Avdullah Hoti.
Una seconda riunione ad alto vertice (il primo in presenza) si è tenuta il 16 luglio a Bruxelles e poi una terza il 7 settembre, con gli stessi interlocutori. Nonostante i tre incontri non abbiano portato a nessuna svolta decisiva per la risoluzione delle controversie tra Kosovo e Serbia, sono comunque stati accolti dalla comunità internazionale come un segnale positivo per la stabilizzazione dei Balcani occidentali e per il cammino europeo dei due Paesi. Al punto che l’alto rappresentante Borrell a novembre ha promesso che l’accordo definitivo tra Belgrado e Pristina “è una questione di mesi, non di anni”.
Le previsioni della Commissione UE sembrano non poco ottimistiche, considerato il percorso particolarmente accidentato che si è sviluppato anche nell’ultimo anno di negoziati. Dall’incognita statunitense a settembre (risolta solo con la sconfitta elettorale dell’ex-presidente Donald Trump) all’instabilità del Kosovo, che ha visto prima le dimissioni del presidente Hashim Thaçi per le accuse di crimini di guerra del Tribunale speciale dell’Aja, e poi il trionfo elettorale della sinistra nazionalista anti-serba guidata da Albin Kurti lo scorso 14 febbraio. Fino alle accuse di Belgrado all’indirizzo del Parlamento Europeo di voler abbandonare lo status neutrale, spingendo tutti gli Stati membri a riconoscere l’indipendenza del Kosovo.
Il dialogo tra Pristina e Belgrado è di cristallo e le crepe iniziano a essere molte. Come una spada di Damocle, rimane costante il rischio di un nuovo congelamento dei rapporti, nonostante la Commissione Europea continui a ricordare che “non ci sono alternative al dialogo“, ha ribadito la settimana scorsa Lajčák nella sua visita alle capitali balcaniche. Il portavoce Stano oggi ha confermato che “il rappresentante speciale è stato rassicurato dal fatto che c’è volontà da entrambe le parti all’impegno per la normalizzazione delle loro relazioni” e, confrontandosi con il probabile futuro premier kosovaro Kurti, “ha confermato la necessità di fiducia politica e di buone relazioni regionali”.
Per la ripresa del negoziato bisognerà aspettare la formazione del nuovo governo a Pristina, ma il presidente serbo Vučic ha già dichiarato di aspettarsi che a partire da maggio le parti di incontrino nuovamente a Bruxelles. Le posizioni iniziali per arrivare a un accordo non sono cambiate: Belgrado chiede un passo indietro comune, Pristina non transige sul riconoscimento dell’indipendenza.
“Per quanto riguarda gli obiettivi a lungo termine, il nostro scopo principale rimane portare Serbia e Kosovo ancora più vicini all’Unione Europea”, ha confermato il portavoce della Commissione UE. “Il loro cammino europeo passa dal dialogo mediato dall’UE e dalla normalizzazione delle loro relazioni“. Ma senza un orizzonte di intesa sostanziale in vista, quello che nessuno si augura – da Bruxelles fino a Pristina e Belgrado, è che questo cammino duri altri dieci anni o più.