Lo scorso martedì 2 marzo, RSF (Reporters Without Borders) ha presentato al procuratore generale della Corte di Giustizia Federale di Karlsruhe una denuncia per “crimini contro l’umanità” contro il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. La denuncia si riferisce all’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi e alla persecuzione di numerosi altri giornalisti in Arabia Saudita. Perché RSF ha scelto proprio la Germania per questa denuncia extraterritoriale? Perché negli ultimi anni la Germania sembra molto attiva nell’applicazione del principio di “giurisdizione universale”, secondo cui alcuni crimini possono essere trattati in forma transnazionale, ad esempio i crimini di guerra o i crimini relativi alla tortura. Non è un principio nuovo, ma la Germania lo ha formalizzato nel suo corpo giuridico nel 2002 e lo sta ultimamente utilizzando sempre di più. L’uso è stato però fino a ora soprattutto applicato a casi in cui imputati e/o testimoni si trovano comunque sul territorio tedesco. In questo senso sono di grande importanza diversi processi relativi alla guerra in Siria, che hanno visto o vedono sul banco degli imputati ex membri degli apparati di sicurezza del regime siriano o miliziani jihadisti affiliati all’IS.
Due ex agenti siriani accusati in Germania di tortura di stato
Eyad al-Gharib, ex agente dell’intelligence interna siriana, è stato condannato lo scorso 24 febbraio a 4 anni e 6 mesi di carcere per “favoreggiamento di crimini contro l’umanità” dal tribunale di Coblenza (Renania-Palatinato). Al-Gharib, 44 anni, era accusato di aver eseguito arresti di manifestanti anti-governativi e di averli trasferiti nel centro detentivo di al-Khatib di Damasco. Al-Gharib non è però il pezzo grosso del processo di Coblenza. Sul banco degli imputati siede ancora Anwar Raslan, 59 anni, ex colonnello del General Intelligence Directorate (GID) e superiore dello stesso al-Gharib. Raslan è accusato direttamente di crimini contro l’umanità per aver supervisionato torture, abusi e violenze su almeno 4.000 prigionieri, causando la morte di almeno 58 persone. I crimini sarebbero avvenuti proprio nella prigione al-Khatib tra il 2011 e il 2012, cioè nella prima fase del conflitto siriano e contro cittadini che partecipavano alle proteste di piazza sull’onda della Primavera Araba. Il processo contro Raslan si concluderà probabilmente questo autunno e l’uomo rischia fino all’ergastolo.
Raslan, 59 anni, ex colonnello del General Intelligence Directorate (GID) siriano è accusato di crimini contro l’umanità per aver supervisionato torture, abusi e violenze su almeno 4.000 prigionieri, causando la morte di almeno 58 persone
Sia nel procedimento contro al-Gharib sia in quello contro Raslan sono intervenuti a Coblenza una dozzina di testimoni diretti delle violenze. Molto ampio è stato anche il materiale documentario utilizzato nel processo, tra cui anche fonti del cosiddetto “Caesar Report” sulle torture contro i dissidenti-ribelli anti-Assad. Il colonnello Raslan continua a negare le accuse, ma sarebbe stato proprio il co-imputato al-Gharib a confermare il ruolo del suo superiore, contro cui ha testimoniato (ricevendo così uno sconto di pena). Elemento fondamentale nell’uso della giurisdizione universale a Coblenza è stato certamente il ruolo di una parte della comunità siriana in Germania, che conta complessivamente circa 800 mila persone, in gran parte arrivate nel 2015-2016. Dopo i primi anni più difficili, ora la comunità ha le sue associazioni e ha un rapporto più agevole con la lingua e con le istituzioni tedesche. Sia al-Gharib che Raslan erano arrivati in Germania (in momenti separati) dopo aver disertato o cambiato fronte in Siria. Proprio per questo motivo, i due ex membri del GID pensavano di essere al riparo dal loro passato. I due uomini sono stati però riconosciuti e individuati all’interno della comunità dell’immigrazione siriana e da lì si è sviluppato il processo. Altri processi contro ex membri delle forze di sicurezza di Damasco sono attualmente in corso o potenzialmente in apertura in Germania, in Svezia, in Olanda e in altri paesi europei. Le conseguenze diplomatiche e geopolitiche di ulteriori condanne, soprattutto se particolarmente pesanti, potranno essere significative.
I processi tedeschi contro jihadisti e jihadiste dell’IS
Se il processo di Coblenza si occupa dei crimini da parte delle forze governative del governo in carica di Bashar al-Assad, altri processi tedeschi si occupano dei crimini contro l’umanità delle milizie del cosiddetto Stato Islamico. Vale a dire di un’organizzazione che all’interno della guerra civile siriana ha poi conquistato l’egemonia su un pezzo dello stesso fronte islamista anti-governativo (quindi non legato alle Forze Democratiche Siriane). Alcuni di questi processi hanno usato o stanno usando parzialmente il principio di giurisdizione universale. Per altri, invece, il principio non è ritenuto necessario.
Non è stato ad esempio fatto uso di giurisdizioni extraterritoriali nel processo che il tribunale di Celle (Bassa Sassonia) ha portato avanti contro l’iracheno Abu Walaa (o Ahmad Abdulaziz Abdullah Abdullah), 37 anni, residente in Germania dal 2001. Considerato numero 1 dell’IS sul territorio tedesco, l’uomo era un predicatore salafita in una piccola moschea radicale a Hildesheim (nel frattempo chiusa). Dopo un processo durato 3 anni, lo scorso 24 febbraio Walaa è stato riconosciuto a capo del network che spediva in Siria e Iraq numerosi foreign fighters tedeschi ed è stato condannato a una pena di 10 anni e 6 mesi. Abu Walaa e altri erano riusciti ad arruolare nelle milizie dello Stato Islamico numerosi giovanissimi (spesso con background migratorio), soprattutto nell’area della Ruhr e in Bassa Sassonia. In quanto residente in Germania e non essendosi mai spostato dal territorio tedesco per compiere i reati a lui contestati, processare Walaa per appartenenza e supporto di un’organizzazione terroristica non è stato troppo difficile per il potere giudiziario tedesco.
Quando si tratta però di perseguire direttamente i foreign fighters di ritorno da Siria-Iraq, l’approccio è più complesso. La Germania può più facilmente processare i foreign fighters per terrorismo domestico in Germania, una volta dimostrati i legami con un’organizzazione terroristica. Questa accusa, però, non copre spesso l’estensione dei crimini realmente compiuti nelle aree di guerra. A questo proposito la giustizia tedesca ha talvolta iniziato a seguire la proposta del Genocide Network (organizzazione investigativa per la persecuzione di crimini di guerra e genocidi). Il Genocide Network, che è supportato dall’agenzia UE Eurojust, chiede da tempo di aumentare in quantità e qualità le imputazioni contro i foreign fighters di ritorno allargando l’accusa ai crimini di guerra, ai crimini contro l’umanità e alla partecipazione a genocidio. Il sistema è stato ad esempio utilizzato recentemente contro un jihadista tedesco che in un video veniva ripreso mentre si dedicava al vilipendio del cadavere di un soldato siriano. Oltre al processo per terrorismo, l’uomo è stato condannato a 8 anni e mezzo di carcere per crimini di guerra “contro la dignità della persona”.
La Germania può processare i foreign fighters per terrorismo domestico in Germania, una volta dimostrati i legami con un’organizzazione terroristica. Questa accusa, però, non copre spesso l’estensione dei crimini realmente compiuti nelle aree di guerra.
Approcci simili stanno emergendo anche nei processi contro donne che hanno raggiunto il Califfato e sono poi tornate in Germania, autonomamente o dopo un arresto da parte di una delle molteplici forze anti-IS siriane, iraqene, curde. A Düsseldorf si sta svolgendo il processo contro Nurten J., donna di 35 anni di Leverkusen, che aveva raggiunto lo Stato Islamico nel 2015 con i suoi figli per sposare uno jihadista. La donna era stata attiva nella polizia morale femminile del Califfato, era rimasta fedele all’IS fino agli ultimi giorni, è stata quindi arrestata da una milizia anti-IS curda ed è infine tornata in Germania nel 2020. Nurten J., tra le altre cose, è oggi accusata anche di crimini contro l’umanità, soprattutto per gli abusi e le violenze nei confronti di una donna yazida che lei avrebbe tenuto in schiavitù in una casa nel territorio un tempo occupato dalla Stato Islamico. La donna yazida vittima delle violenze è riuscita a fuggire dopo la caduta dell’IS e si trova al momento proprio in Germania, dove vivono ormai oltre 200 mila yazidi. La donna testimonierà a breve come parte lesa contro Nurten J. proprio nell’aula di Düsseldorf ma, a causa di possibili ritorsioni anche sul territorio tedesco, le autorità hanno comunque dovuto metterla in un programma di protezione testimoni.
Nurten J., tra le altre cose, è oggi accusata anche di crimini contro l’umanità, soprattutto per gli abusi e le violenze nei confronti di una donna yazida che lei avrebbe tenuto in schiavitù in una casa nel territorio un tempo occupato dalla Stato Islamico.
Accuse simili sono emerse nel processo a Monaco di Baviera contro Jennifer W., cittadina tedesca, anch’essa di ritorno in Germania dopo essersi unita per anni alle milizie dello Stato Islamico in Iraq. In questo caso l’accusa di crimini contro l’umanità è per avere ridotto in schiavitù una bambina yazida di soli 5 anni. Secondo l’accusa, la bambina sarebbe morta a causa dei maltrattamenti di Jennifer W. e del marito. L’omicidio della bambina potrebbe essere anche giudicato giuridicamente una partecipazione attiva al crimine di genocidio contro il popolo yazida. Anche in questo caso, pur essendo l’accusata ora processata perché cittadina tedesca, il principio di giurisdizione universale potrà essere utilizzato per appesantire i capi d’imputazione e perseguire completamente i crimini di guerra eventualmente accertati.
Questo approfondimento fa parte della collaborazione di Eunews con Derrick, newsletter settimanale che indaga la Germania in vista delle elezioni del Bundestag di settembre 2021.