Bruxelles – Nel 2019 nell’Unione Europea le donne hanno ricevuto uno stipendio più basso in media del 14,1 per cento rispetto a quanto percepito dagli colleghi uomini, a parità di mansioni. I dati, raccolti da Eurostat sulla base del guadagno rilevato su un’ora di lavoro, mostrano una tendenza in generale, anche se modestissimo, calo rispetto al 2018, anno in cui la disparità retributiva di genere (la cosiddetta gender pay gap) era pari al 14,4 per cento (nel 2017 era del 14,6).
Più pronunciate le differenze nei 19 Paesi dell’Eurozona: sempre nel 2019 tra gli stipendi pagati in euro quelli percepiti dalle donne sono stati mediamente più bassi del 14,9 per cento rispetto a quelli degli uomini (lo erano del 15,3 nel 2018 e del 15,7 nel 2017).
Le differenze più marcate si registrano in Estonia e in Lettonia, dove le lavoratrici guadagnano in media rispettivamente il 21,7 per cento e il 21,2 per cento in meno rispetto ai loro colleghi di sesso maschile. Al quarto posto di questa classifica della vergogna, dopo l’Austria, la Germania, con un sensibile 19,2 per cento in meno per le donne. Gli scarti più ridotti dell’Unione invece sono stati osservati in Romania (3,3 per cento) e in Lussemburgo (1,3 per cento). L’Italia, dove la gender pay gap è del 4,7 per cento, fa invece per una volta una buona figura. Bisogna osservare però che che in gran parte dei Paesi dove lo scarto negli stipendi tra i due sessi supera la media UE il tasso di occupazione femminile è più elevato (supera il 70 per cento nelle Repubbliche baltiche, in Germania e nei Paesi Scandinavi), mentre in Italia e in altri Paesi del versante Sud si aggira intorno al 50 per cento.
Rispetto al 2018 le differenze tra gli stipendi si sono assottigliate nella maggior parte dei Paesi coinvolti nell’indagine Eurostat. Tra le poche eccezioni ad aver registrato un aumento più consistente nella differenza retributiva tra donne e uomini ci sono la Lettonia (passata da uno scarto del 19,6 nel 2018 al 21,2 del 2019), il Portogallo (dall’ 8,9 per cento nel 2018 al 10,6 nel 2019) e l’Ungheria (che nel giro di un anno ha visto un aumento di questa percentuale dal 14,2 al 18,2).