Bruxelles – Il nostro non è un mondo per le donne, non ancora o almeno non come dovrebbe. “Dobbiamo dare alle donne pari voce nel processo decisionale, perché ciò è essenziale per formare democrazie libere ed eque”. A pronunciare queste parole di fronte al Parlamento europeo è chi prima di chiedere un cambiamento culturale nella percezione e nel ruolo della donna nelle nostre società, lo rappresenta nei fatti il cambiamento.
Ed è un cambiamento quello che sollecita la vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, partecipando con un videomessaggio alla celebrazione del Parlamento europeo dell’8 marzo, giornata internazionale della donna, che oggi ha preceduto l’inizio dei lavori della plenaria. Harris ha ricordato Simon Veil, che prima di lei ha raggiunto il primato di essere la prima presidente donna a sedere nell’Eurocamera. Donne ai vertici del potere, ma non è solo questo il cambiamento che auspica. Se nell’era pre-Covid il mondo non era un mondo per donne, ancora meno lo è in quello post-pandemia. Le donne sono “il 70 per cento della forza lavoro sanitaria globale e trovandosi in prima linea, sono maggiormente esposte al rischio di contrarre il virus”, ha ricordato. Mentre “altre donne sono state escluse completamente dal mercato del lavoro”.
Mentre i governi affrontano la pandemia, l’instabilità economica, l’ingiustizia razziale, le minacce alla democrazia e gli effetti del cambiamento climatico, la domanda davanti a noi è semplice. Come possiamo costruire un mondo che funzioni per le donne?”. Per la vicepresidente statunitense di deve partire garantendo “la sicurezza delle donne a casa e in ogni comunità, che possano accedere ad un’assistenza sanitaria di alta qualità”, ma anche che siano trattate “con dignità sul lavoro e creare le strutture necessarie, per far si che le donne possano prendersi cura delle loro famiglie ed eccellere nell’ambito lavorativo”. Ma è fondamentale riconoscerle pari voce nel processo decisionale, “perché ciò è essenziale per democrazie libere ed eque. E questo non è solo un atto di buona volontà, è una prova di forza”.
Ma la differenza di genere non si manifesta non solo ai vertici di potere, si misura anche e soprattutto su quante donne perdono i posti di lavoro rispetto agli uomini. Su questo aspetto della crisi insiste anche la premier della Nuova Zelanda, Jacinda Arden.“Non importa quante donne siano in posizioni di potere finché nelle statistiche rimane une sovra-rappresentazione delle donne nella perita di posti di lavoro, lavoro a basso reddito e violenza domestica“, sottolinea in un videomessaggio in apertura alla plenaria. “Questo è il vero indicatore per valutare se abbiamo compiuto progressi e se abbiamo raggiunto l’uguaglianza”.
Nei mesi a venire ci saranno “sfide enormi e richieste per tutti noi in quanto leader”, ha aggiunto. Ma di fronte a queste sfide lancia l’idea di “sostenere le imprese guidate dalle donne, comprese le piccole imprese, perché facciano parte della ripresa economica post Covid-19, in modo che possano beneficiare subito dei vantaggi del commercio”.
Sassoli e von der Leyen: “Donne al centro della ripresa”
Rappresentanza limitata ai vertici di potere, ma anche stipendi e pensioni inferiori, maggiori rischi di povertà. Nel mondo degli affari, in politica e più in generale nella società, le donne nel mondo e anche in Europa soffrono di una condizione di uguaglianza dichiarata ma non realizzata rispetto agli uomini. E le Istituzioni devono avere un ruolo nel cambiare le cose: uguaglianza sancita dai Trattati dell’Unione Europea che deve diventare uguaglianza reale.
Per il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, occorre ripartire dalla uguaglianza salariale. “Le donne in Europa guadagnano in media il 14,1 per cento in meno degli uomini. Questo non è più accettabile”, accusa, dicendosi pronto a lavorare alla proposta della Commissione europea per una trasparenza salariale vincolante presentata settimana scorsa. Promette che “metteremo la proposta al centro del nostro lavoro”. Le ragioni di questo divario retributivo possono essere tante e diverse, dal fatto che le donne più spesso degli uomini mettono in pausa il lavoro per prendersi cura di bambini o parenti o per lo stesso motivo lavorano a tempo parziale. Ma spesso sono ragioni immotivate, ci sono anche casi in cui, a parità di lavoro, le donne sono di fatto pagate meno rispetto agli uomini.
Oltre al divario retributivo c’è quello occupazionale su cui le Istituzione hanno il dovere di riflettere. Oggi solo il 67 per cento delle donne nell’UE ha un’occupazione, contro il 78 per cento degli uomini occupati. La Commissione vuole “ridurre della metà questo divario occupazionale” portando in dieci anni a una “totale uguaglianza occupazionale”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento alla celebrazione promettendo di fare tutto il possibile per arrivare a questo obiettivo. “Voglio un Continente di pari opportunità, sia per gli uomini che per le donne”, dice ammettendo che ancora “non siamo arrivati a questo traguardo”.
Riconosce anche con sarà facile arrivarci. “Il più delle volte devono lavorare il doppio per affermarsi per avere un pari riconoscimento dei loro colleghi maschi. So quali sono gli ostacoli”.
Entrambi, sia Sassoli sia von der Leyen, insistono sul ruolo che le donne – ma in realtà le politiche di genere – dovrebbero avere nei piani nazionali di ripresa e resilienza dalla crisi. “Sarà una vera ripresa dalla crisi solo se lo sarà per tutti”, aggiunge la tedesca. Le fa eco ancora Sassoli sottolineando che “Il Parlamento si è battuto perché la parità di genere e la dimensione di genere fossero priorità centrali nel bilancio settennale dell’UE e nella valutazione dei Piani nazionali di ripresa”. Se la ripresa avrà la “priorità dell’uguaglianza, questo cambierà la vita delle persone e delle donne molto concretamente nei Paesi, nelle città, sui luoghi di un lavoro ritrovato o conquistato, nelle scuole e nelle università, nella ricerca”, ha concluso.