Bruxelles – Assicurare la parità di salario, ma intervenire per la parità dei sessi anche nelle faccende di casa e nella cura dei figli, che rientrano nel lavoro non retribuito. Tracciando un primo bilancio, a un anno di distanza dal lancio di una strategia a tema per il periodo 2020-25, e in coincidenza con la Giornata Internazionale delle donne, l’Unione Europea fa i conti con gli effetti della pandemia sulle condizioni di lavoro delle cittadine europee e promette di fare della parità di genere un motore della ripresa economica.
In una tavola rotonda organizzata sul tema dalla Presidenza portoghese del Consiglio UE, la consapevolezza che le donne siano state le persone più colpite dalla crisi economica e sociale innescata dalla COVID-19 risulta un dato di fatto. I dati elaborati in una nota di ricerca dall’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (EIGE) sulle opportunità di lavoro per i due sessi registrate dopo la prima ondata della pandemia lo confermano: nell’UE il numero di uomini che ha trovato lavoro è più del doppio rispetto alle cifre osservate per le donne. Ma la principale motivazione per le quali le donne scontano le minori possibilità occupazionali è da addebitare all’esistenza di una distribuzione asimmetrica tra i due sessi del carico dell’attenzione e della cura riservata ai figli e alla casa (da cui deriva il concetto di “assistenza non retribuita”).
“Il grosso dell’assistenza non retribuita ancora una volta ha gravato sulle spalle delle donne. E il fenomeno è esploso con la didattica a distanza a cui sono stati costretti gli alunni europei durante la pandemia. Appena il lavoro si è spostato a casa il tempo passato a cucinare e a svolgere le faccende domestiche è aumentato per entrambi i sessi durante il lockdown, ma le donne sono rimaste chiuse in casa per svolgere queste mansioni più degli uomini”, ha affermato Carlien Scheele, direttore dell’EIGE.
Secondo i risultati di uno studio dell’agenzia europea Eurofound, che si occupa di sondaggi e rapporti sui temi del lavoro nell’UE, durante i primi mesi della pandemia le donne hanno trascorso 18,4 ore alla settimana a cucinare e nelle faccende domestiche rispetto alle 12,1 ore degli uomini. Nel 2016 questo rapporto era di 15,8 ore delle donne contro le 6,8 ore degli uomini. È soprattutto per questo che resta difficile per le donne trovare del tempo per dedicarsi al lavoro e aggiornare le proprie competenze. Secondo EIGE nell’UE in media il 40 per cento delle donne dichiara di non potersi permettere una formazione continua che gli permetterebbe anche di tenere il passo con le nuove tecnologie a causa delle esigenze familiari. La percentuale per gli uomini scende al 24 per cento.
“Il telelavoro è stato utile per ristabilire il bilancio tra la vita lavorativa e quella familiare per le donne, ma non è una soluzione sostenibile per la cura dei figli. E il fardello si è appesantito per le famiglie monoparentali, costituite per l’84 per cento da genitori donne”, ha continuato Scheele che ha indicato i piani di ripresa nazionali che gli Stati si apprestano a presentare per ricevere le risorse del piano di rilancio economico europeo Next Generation EU come un’occasione per garantire un’equa distribuzione dell’assistenza non retribuita. “Serve un approccio duale: un salario adeguato per le donne e una maggiore accessibilità ai servizi di assistenza all’infanzia”.
Proprio sul fronte della parità di salario la Commissione europea ha avanzato una proposta direttiva che ambisce a raggiungere la parità retributiva tra uomini e donne. Ma la Commissaria per l’Uguaglianza Helena Dalli, invitata a partecipare all’evento, ha detto che al momento si tratta solo “di un primo passo”. La stessa Dalli ha apprezzato gli sforzi fatti durante la cosiddetta “prima ondata della pandemia” da parte di alcuni Stati membri nell’aumentare i congedi parentali e i bonus a favore di una più equa condivisione tra le mamme e i papà dei doveri di cura dei bambini rimasti a casa a causa della chiusura delle scuole. Ma tali misure sono state circoscritte ad alcuni Paesi (è stato citato l’esempio della Danimarca).
“Il COVID-19 è stata anche una crisi assistenziale, perché il distanziamento sociale e le misure sanitarie hanno ancorato la vita delle donne ai ruoli tradizionali che la società da sempre ha assegnato a loro. Ma allo stesso tempo ci ha fatto comprendere la natura essenziale delle attività di cura”, ha dichiarato Lina Coelho ricercatrice esperta dell’uguaglianza di genere e consulente della Commissione europea. “Una ripresa trainata dalla parità di genere richiede un accordo generale a livello europeo che riconosca che l’assistenza è un bisogno collettivo che necessita di una responsabilità collettiva”.
Ma la pianificazione si scontra anche con una mancanza di dati certi sul fenomeno delle disparità di genere. “Spesso non esistono statistiche approfondite relative alla differenza di condizioni tra uomini e donne calcolate in base a indicatori come l’età e il numero di figli. Spesso vediamo i risultati di ricerche statistiche economiche molto sofisticate tra i settori di un’economia o tra le diverse dimensioni delle aziende, ma non abbiamo accesso a una mole di dati sufficienti a capire la reale portata delle diseguaglianze di genere sul posto di lavoro”, ha affermato Lina Salanauskaite, ricercatrice dell’EIGE.
Lo stesso appello a una maggiore trasparenza è stato rilanciato anche da Rosa Monteiro, ministra portoghese per la cittadinanza e l’uguaglianza. “Possiamo cambiare solo quello che vediamo. Per questo dobbiamo garantire maggiore trasparenza per vedere chiaramente quello di cui abbiamo bisogno quando parliamo di disuguaglianze tra uomini e donne. È il momento giusto per dire che la causa della parità di genere deve diventare una battaglia quotidiana. E noi non possiamo permettere che le donne restino invisibili”.