Bruxelles – Il muro contro muro sulla nuova legge polacca anti-aborto tra Varsavia e Bruxelles ormai è ufficiale. Le divergenze si sono palesate in tutta evidenza durante l’audizione organizzata mercoledì pomeriggio (24 febbraio) in Parlamento europeo nella quale sono stati invitati per la parte polacca Andrzej Sadoś, ambasciatore presso il COREPER e Dorota Bojemska, presidente dell’organo consultivo del Consiglio della famiglia voluto dal governo di Mateusz Morawiecki.
Per gran parte dell’Eurocamera la legge attuativa di una sentenza della Corte costituzionale polacca che è entrata in vigore lo scorso 27 gennaio e che vieta alle donne polacche di abortire in caso di malformazione del feto è una chiara violazione degli obblighi internazionali in materia di diritti umani e di diritti delle donne. La Polonia però nega la questione sotto vari aspetti ed è intervenuta a muso duro anche in Parlamento di fronte agli eurodeputati della commissione per le libertà civili (LIBE) e della commissione per i diritti delle donne (FEMM).
La controparte polacca usa la sentenza della Corte costituzionale come scudo. “Non c’è stato alcun intervento governativo sulla sentenza perché la decisione del tribunale ha seguito una valutazione giuridica costituzionale” ha commentato l’ambasciatore Andrzej Sadoś smarcandosi dalle accuse che vedono la giustizia polacca sotto il giogo del governo di Varsavia.
Lo stesso Sadoś ha aggiunto che in ogni caso “la posizione della Polonia è nota da tempo”. “Nel 2003, già prima dell’adesione all’UE era stata adottata una dichiarazione governativa sulla morale pubblica e, dal canto suo il tribunale costituzionale ha ripreso una sentenza del 1997, secondo la quale il diritto alla vita deve essere tutelato dal legislatore. La Polonia si è sempre battuta per il diritto alla vita e non desidera interferenze da parte delle altre istituzioni europee”. L’ambasciatore ha affermato anche che il diritto all’aborto non è previsto espressamente in nessuna convenzione internazionale e in nessun trattato e che la sua esistenza in realtà sarebbe frutto di un’ampia interpretazione da parte dell’Unione Europea. Ma “a tal riguardo forniremo una risposta più dettagliata in forma scritta”, ha detto concludendo.
Per l’ex giudice costituzionale Wojciech Hermeliński, intervenuto nel corso dell’audizione, alla base della sentenza della Corte costituzionale polacca di ottobre 2020 ci sarebbero dei vizi di invalidità. “Tre dei quindici giudici della sezione che ha deliberato erano stati appena nominati e non avevano ancora prestato giuramento. In più, un altro giudice avrebbe dovuto sottrarsi dalla decisione, perché ex parlamentare e autore di una proposta di legge analoga in passato”. Oltre che nella forma, secondo Hermeliński il provvedimento sarebbe invalido anche nella sostanza: “L’articolo 38 della costituzione polacca difende il diritto alla vita, ma i giudici hanno reso valido questo diritto in maniera molto estensiva dal momento del concepimento”.
Una versione che contrasta con quanto dichiarato dalla leader del Consiglio della Famiglia Dorota Bojemska, secondo la quale Varsavia non dovrebbe prendere lezioni da nessuno in materia di diritti delle donne. “Ricordo che il diritto di voto è stato allargato alla popolazione femminile immediatamente dopo l’indipendenza, nel 1918. Abbiamo uno dei più alti tassi di occupazione femminile nell’UE e delle percentuali risicate di violenza domestica rispetto a tutti gli altri Paesi Europa”. Al tempo stesso, tuttavia, l’attivista ha ribadito il bisogno di “sostenere la maternità come elemento fondamentale della vita di ogni donna“. Un appello che secondo Bojemska proviene proprio dalla legge internazionale: ” La Conferenza del Cairo del 1994 e la Conferenza di Pechino del 1995 invitano i Paesi a intervenire per difendere il diritto alla vita. Non possiamo consentire che i diritti delle donne portino alla limitazione della vita altrui”.
Così formulata, però, secondo la Commissaria all’uguaglianza Helena Dalli, la nuova legge comporterebbe un rischio concreto della violazione grave dello stato di diritto. “L’Unione Europea non ha competenze nel campo dell’accesso all’aborto ma possiamo mettere a disposizione della causa i fondi per i diritti dell’uguaglianza dei cittadini”. Più complicato invece intervenire con la concreta attivazione del meccanismo sullo stato di diritto in nome dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea come richiesto da gran parte degli europarlamentari. “Serve una prova concreta di tali infrazioni perché la Commissione possa fare qualcosa”.
E neanche tutte le voci del Parlamento europeo sono unanimi. Per il gruppo dei Conservatori e Riformisti, a cui appartiene il partito del primo ministro polacco Morawiecki, il resto dell’Eurocamera “ha scelto la civiltà della morte” (come affermato dalla deputata Jadwiga Wiśniewska) e adotta un comportamento contrario al rispetto dello stato di diritto perché non compatibile con i limiti dei poteri dell’UE nel campo della salute. Non proferiscono parola i sovranisti del gruppo Identità e Democrazia.
La società civile intanto promette di non abbassare la guarda rispetto a una legge che, come affermato da Hermeliński, di fatto renderebbe impraticabile il 97 per cento dei casi di aborto in Polonia. Marta Lempart, un’altra delle leader polacche del movimento “Ogólnopolski Strajk Kobiet” (trad. Sciopero nazionale delle donne) durante l’audizione si è fatta portavoce della resistenza del fronte dei diritti delle donne. “Protestiamo da cinque anni, io sono stata portata in tribunale 65 volte. Ma non desistiamo, la libertà non si può fermare”. E poi si è rivolta ai politici europei presenti in aula: “Non ci si limiti alle dichiarazioni. Il vostro dovere è battervi per i nostri diritti come cittadine europee. Abbiamo bisogno di sostegno”.