Bruxelles – Si scrive COVID, si legge rompicapo. I leader dell’UE si ritrovano per cercare di uscire dalla crisi sanitaria e dallo stato confusionale in cui trovano i governi dell’Unione, tutt’altro che coesa in materia di gestione della pandemia. I ventisette si riuniscono in videoconferenza (25 e 26 febbraio) per discutere di strategie di vaccini e gestione delle frontiere in un momento in cui la Commissione europea richiama all’ordine sei Stati (Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Svezia e Ungheria) per politiche ritenute sproporzionate sugli spostamenti delle persone.
Ma mentre la Commissione invita al coordinamento e alla omogeneità delle misure, il Consiglio predica altro. Nella tradizionale lettera di invito ai leader, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ricorda che “potrebbero essere ancora necessarie misure restrittive sui viaggi non essenziali per contenere la diffusione del virus”, fermo restando che “il flusso di beni e servizi nel mercato unico, nonché il ruolo svolto dalle corsie verdi, rimangono essenziali”.
Le quattro libertà alla base dell’UE diventano nei fatto tre. Si limita la circolazione delle persone. Fonti UE spiegano che le varianti del virus impongono e restrizioni “vanno a braccetto”. Se a questo si aggiunge che “il discorso su viaggi non essenziali riflette anche la situazione che abbiamo nei diversi Paesi, che non è la stessa”, allora si capisce come ci senta autorizzati a muoversi in ordine sparso.
In Consiglio lo sanno. Gli Stati si parlano tra loro per decidere come disciplinare l’attraversamento delle frontiere. E’ il caso dei contatto costanti tra Francia e Germania, o tra Belgio e Lussemburgo. “La situazione è comunque coordinata”. Vero, ma a livello bilaterale. Il vertice dei leader dovrebbe in linea teorica superare questa situazione, ma la linea pare tracciata: dare priorità al mercato unico.
Tutto in alto mare, dunque. Proprio come il discorso sui certificati vaccinali. Ci si sta ragionando, ma restano ancora da sciogliere nodi non certo marginali quali il nome, il riconoscimento tra Stati, i processi di verifica. Ancora, non è chiaro se il vaccino evita di essere portatore sani, se tutti considerano i positivi con anticorpi persone sicure. I Ventisette continuano nel ragionamento, consapevoli che risposte immediate non sono a portata di mano.
La priorità diventa allora assicurarsi che il processo di produzione e somministrazione dei vaccini continui secondo i piani. L’UE stima che per la fine dell’anno siano disponibili 300 milioni di dosi di siero anti-COVID. “Stimiamo 300 milioni di dosi perché sono le compagnie che ci dicono che possono farcela”, confidano a Bruxelles. Tutto dipende allora dalla capacità dell’industria farmaceutica di rispettare gli impegni. In tal senso sono attese conclusioni con un richiamo forte alle imprese.
Una via che si esplora è quella di “riunire i produttori attraverso le catene di approvvigionamento al fine di aumentare la produzione nell’UE”, fa sapere Michel. Ma il vero nodo far sì che le consegne “siano prevedibili” e che le aziende rispettino le regole del gioco. Finora da questo punto di vista l’Europa ha lasciato a desiderare, e i leader sono chiamati a trovare soluzioni pratiche al di là del messaggio che metteranno nel documento di fine seduta. Resta, ad ogni modo, il principio emergenziale del blocco delle esportazioni del farmaco se il caso dovesse richiederlo.