Bruxelles – Si aprono scenari poco rassicuranti sulle capacità dei lavorati italiani di affrontare le sfide tecnologiche che si stanno aprendo con le conseguenze della pandemia COVID-19. L’analisi della Corte dei Conti europea Gli interventi dell’UE per ovviare al problema delle scarse competenze digitali mostra che nel 2019 più di un cittadino italiano su due in età lavorativa (25-64 anni) e attivo era privo di competenze digitali di base (51 per cento).
A livello comunitario, lo stesso problema coinvolgeva più di 75 milioni di cittadini già occupati o in cerca di lavoro: il 35 per cento, un lavoratore europeo ogni tre. Il fenomeno riguardava soprattutto i soggetti più anziani, le persone con un basso livello di istruzione e i disoccupati (chi momentaneamente non ha un lavoro, ma in passato ne ha svolto uno ed è alla ricerca di un nuovo impiego). Il vero problema è che, allo stesso tempo, oltre nove impieghi su dieci richiedono competenze digitali almeno di base: il rischio, per chi è privo di conoscenze, è di rimanere tagliato fuori dal mercato del lavoro, considerate anche le esigenze di telelavoro e smartworking richieste a seguito della pandemia di Coronavirus.
Per identificare cosa significa ‘competenze digitali di base’, la Corte dei Conti europea ha fatto riferimento alla definizione del contenuta nella raccomandazione del Consiglio UE del 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Le capacità digitali presuppongono “l’interesse per le tecnologie digitali e il loro utilizzo con dimestichezza, spirito critico e responsabile, per apprendere, lavorare e partecipare alla società“. In questa definizione sono contenute “l’alfabetizzazione informatica, digitale e mediatica, la comunicazione e la collaborazione”, ma anche “la creazione di contenuti digitali, la sicurezza e le questioni legate alla proprietà intellettuale”.
Come dimostrano i dati analizzati dalla Corte dei Conti europea, esistono però differenze considerevoli tra Stati membri. Considerata l’Unione a 28 Paesi membri (con il Regno Unito, prima della Brexit), erano solo in 12 a essere migliori rispetto alla media UE, con tre Stati sotto al 20 per cento: Paesi Bassi, Finlandia e proprio il Regno Unito. Agli antipodi, Romania e Bulgaria, con oltre due cittadini su tre privi di competenze digitali di base. Ma nel quintetto dei Paesi UE con problemi più critici – con una percentuale superiore al 50 per cento – nel 2019 si posizionava anche l’Italia. Hanno fatto peggio solo Cipro e Lettonia, oltre alle già menzionate Romania e Bulgaria.
Il divario digitale porta con sé una maggiore difficoltà nel trovare un lavoro per gli adulti con un livello inferiore di competenze digitali, ma anche una disparità di salario rispetto a coloro che possiedono competenze digitali più elevate. La Corte dei Conti europea fa anche riferimento a un’analisi dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) per dimostrare che “molto spesso si fa regolare uso delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) senza disporre di adeguate competenze“, si legge nel testo. In media, più di due lavoratori europei su cinque utilizzano ogni giorno software senza avere capacità sufficienti per sfruttarli in modo efficace.
In questo scenario si scopre che negli ultimi anni i progressi per migliorare le competenze digitali di base dei cittadini adulti sul suolo comunitario sono stati scarsi. Se nel 2019 il 65 per cento dei lavoratori europei attivi aveva competenze digitali di base, già nel 2015 le possedevano il 62 per cento. Un miglioramento nella media europea, ma poco significativo.
Il problema è ancora più evidente se si considera che un quarto dei Paesi membri hanno registrato un peggioramento – anche se lieve – nelle conoscenze digitali dei propri cittadini attivi. Questa evoluzione negativa ha riguardato anche l’Italia: nel 2015 era il 52 per cento dei lavoratori a possedere conoscenze digitali di base, mostrando un peggioramento di tre punti percentuali nei successivi quattro anni. Prestazioni negative anche per i due Paesi che nel 2015 guidavano la classifica dei più virtuosi: Danimarca (-6 punti percentuali, da 81 per cento a 75) e Lussemburgo (-13 punti percentuali, da 87 per cento a 74).
L’analisi della Corte dei Conti europea
Considerati i dati pubblici e il confronto tra il 2015 e il 2019, la Corte dei Conti ha analizzato gli interventi compiuti dalle istituzioni europee per aumentare le competenze digitali degli adulti. “L’Unione Europea riconosce da tempo quanto sia importante che tutti i cittadini possiedano competenze digitali di base”, ha commentato Iliana Ivanova, responsabile per l’analisi della Corte, “ma resta ancora molto lavoro da fare”.
Se nel periodo 2015-2020 la Commissione UE ha pubblicato orientamenti e ha sostenuto gli Stati membri, è altrettanto vero che “i progetti finanziati dall’UE incentrati sull’alfabetizzazione digitale di base degli adulti sono stati relativamente pochi“, si legge nel documento. Anche dal punto delle misure messe in atto, tra il 2016 e il 2018 i progetti nazionali nell’ambito dell’iniziativa della Coalizione per le competenze e le occupazioni digitali hanno offerto a quasi 11 milioni di cittadini europei la possibilità di migliorare la propria alfabetizzazione digitale. Tuttavia, “circa la metà di loro erano studenti delle scuole primaria e secondaria“, per cui non può ancora essere valutato l’impatto di queste attività sul mercato del lavoro.
“La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente sottolineato l’importanza delle competenze digitali di base per i cittadini”, ha ricordato Ivanova. “Ora è il momento ideale per evidenziare questo problema e mi auguro che l’analisi della Corte sia utile per preparare l’inizio del nuovo periodo di programmazione 2021-2027”. Proprio sulla strategia per i prossimi sette anni, la Corte dei Conti europea ha riconosciuto che la Commissione “ha stabilito per la prima volta l’obiettivo specifico di aumentare la percentuale di cittadini con competenze digitali di base dal 56 per cento nel 2019 al 70 nel 2025“. Sarà di primaria importanza l’intervento a sostegno di quel lavoratore europeo su tre che rischia di essere escluso dalle ambizioni digitali dell’Unione Europea.