Bruxelles – C’era una volta il mercato dei libri. Non è una fiaba, ma la triste storia dell’Italia e dei suoi prodotti su carta. Complice il Coronavirus e la propagazione della pandemia, con le misure di confinamento la più classica formula di inizio di racconti di ogni tipo e cultura diviene il requiem per volumi e loro punti vendita. L’introduzione del lockdown ha coinciso con l’immediata crisi del settore, che il Parlamento europeo aiuta a quantificare nella ricerca per la commissione Cultura realizzata dal centro studi dell’Eurocamera.
L’analisi, corposa, indaga l’andamento della domanda in tutta Europa. In generale le vendite nelle librerie sono diminuite tra il 75% e il 95% nella maggior parte dei paesi in cui era in atto un blocco, e il Belpaese non fa eccezione. “Per il periodo di blocco, le vendite dei librai in Italia sono state del -75%, con una perdita di 20 milioni di euro”. A guardare i termini percentuali il sistema tricolore ha retto anche meglio di altri l’urto della pandemia. In Italia, continua lo studio, le librerie che sono riuscite a fidelizzare i clienti e costruire una presenza online e una strategia di consegna, hanno contenuto le perdite durante il blocco al 71% in media del fatturato, contro l’85% perso complessivamente dal settore.
Ma è una magra consolazione in un settore che se la passa davvero poco bene. In Italia il lockdown a livello nazionale è scattato a inizio marzo. Alla fine del mese “erano stati cancellati o posticipati circa 23.200 titoli (circa un terzo per la produzione annuale), corrispondenti a 48,9 milioni di copie in meno stampate, e durante l’intero periodo di blocco la produzione di titoli è scesa di due terzi”. E non finisce qui, perchè le perdite di ricavi è proseguita anche ad aprile: -96% per le grandi librerie di tutta Europa e, per le librerie più piccole, -85% in Italia.
La situazione è stata tale che “alla fine di marzo quasi due terzi degli editori in Italia” utilizzavano o progettavano di utilizzare la cassa integrazione guadagni per disoccupazione temporanea o parziale. Gli autori dello studio chiariscono che le conseguenze a lungo termine della grave perdita di reddito sono ancora difficili da valutare in questa fase, ma il rischio di disoccupazione permanente nel settore culturale-creativo, comprendente la filiera del libro, è già reale. “I professionisti che non possono più guadagnarsi da vivere con il loro lavoro culturale hanno maggiori probabilità di lasciare il settore e cercare lavori non culturali, con potenziali effetti di lunga durata sulla composizione dell’intero settore culturale e creativo europeo”.