Bruxelles – Le retate e le perquisizioni negli uffici e nelle case dei giornalisti in Bielorussia degli scorsi giorni sembrano acqua fresca rispetto alle ultime notizie che arrivano da Minsk. Due giornaliste bielorusse ventenni, Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova, sono state condannate a due anni di carcere ciascuna con l’accusa di fomentare le proteste contro il presidente Alexander Lukashenko. L’emittente televisiva di opposizione con sede in Polonia, Belsat, ha reso noto che la sentenza ha giudicato colpevoli le due reporter di “azioni di gruppo che violano gravemente l’ordine pubblico” durante le riprese della manifestazione in memoria dell’attivista Raman Bandarenka, nel novembre scorso.
Andreyeva e Chultsova hanno respinto le accuse “politicamente motivate” e hanno ribadito il fatto che il loro lavoro era “documentare quello che stava accadendo in presa diretta“. Mentre stavano trasmettendo in live streaming, le forze dell’ordine si sono presentate nell’appartamento da dove stavano lavorando (affacciato sulla piazza delle manifestazioni) e le hanno arrestate. Il legale delle due giornaliste, Syarhey Zikratski, ha definito la sentenza “assurda”, dal momento in cui le sue assistite “stavano solo facendo il proprio mestiere”. Il legale ha ricordato che “tutti abbiamo seguito i loro servizi, le parole che hanno usato erano solo una descrizione di ciò che stava accadendo“, ma nonostante ciò “sono state utilizzate come base per l’accusa contro di loro”.
Dure le reazioni dell’opposizione e della stampa non allineata al regime. “Tutti noi giornalisti dobbiamo riportare ancora più di più di più cosa sta avvenendo in Bielorussia, per distruggere questo regime terroristico”, ha tuonato il marito di Andreyeva, Ihar Ilyash, anche lui giornalista. Sviatlana Tsikhanouskaya, leader dell’opposizione bielorussa e presidente legittima riconosciuta dall’UE su Twitter ha commentato così la sentenza: “Guardate Darya e Katsiaryna: forti, sorridenti e che salutano i loro cari attraverso le sbarre. Lukashenko non può spezzarci“.
Journalists Darya Chultsova and Katsiaryna Andreyeva were sentenced to 2 years in prison for a live stream from Bandarenka's memorial in Nov.
Just look at Darya and Katsiaryna – strong, smiling, and saying goodbyes to their loved ones through bars. Lukashenka can't break us. pic.twitter.com/nVk0u883Ia— Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) February 18, 2021
Proprio il nome di Raman Bandarenka – attivista morto in ospedale il 12 novembre scorso per un trauma cerebrale, dopo essere stato picchiato da uomini col volto coperto presumibilmente vicini al regime – lega la vicenda delle due giornaliste condannate ieri a quella di un nuovo processo contro la libertà di informazione in Bielorussia. Sono iniziate oggi le udienze del processo a carico della reporter Katsiaryna Barysevich e del medico Artsiom Sarokin, con l’accusa di aver rivelato informazioni di carattere sanitario riguardanti la morte di Bandarenka. Nello specifico, l’assenza di alcool nei campioni di sangue del giovane attivista analizzati dalla scientifica. Barysevich e Artsiom rischiano fino a tre anni di reclusione.
La notizia pubblicata dal sito d’informazione bielorusso Tut.by ha avuto grande risalto perché contraddice la versione degli investigatori, secondo cui all’origine della morte di Bandarenka ci sarebbe stata una lite e solo in un secondo momento l’attivista sarebbe stato trovato dalla polizia con segni di percosse e in apparente stato di ubriachezza. Barysevich è accusata di aver rivelato informazioni sensibili, mentre il dottor Sarokin di aver fornito ai media dati sanitari sul dissidente ucciso. Nel giorno dell’inizio del processo, Tikhanovskaya ha seccamente ricordato che “loro sono le persone che volevano dire la verità sulla morte di Raman Bandarenka“.
Katsiaryna Barysevich and Artsiom Sarokin in the courtroom during the closed hearing this morning. The people who wanted to tell the truth about Raman Bandarenka's death. pic.twitter.com/5sMEfBA8bx
— Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) February 19, 2021
La reazione dell’Europa
Le azioni messe in atto dal regime di Lukashenko contro i media “sono inaccettabili e devono cessare“, ha attaccato il portavoce della Commissione Europea per la politica Estera, Peter Stano. “Chiediamo alle autorità bielorusse di rispettare le libertà fondamentali di parola e riunione”. Il portavoce ha incalzato il presidente non più riconosciuto come legittimo dall’UE: “Assistiamo a una vergognosa e brutale repressione da parte delle autorità bielorusse contro cittadini, i difensori dei diritti umani e i giornalisti”. Per questo la Commissione ha intimato a Lukashenko di “smettere di prendere di mira i media e di consentire loro di lavorare“.
Contro la condanna delle giornaliste Andreyeva e Chultsova si è la alzata una forte voce di protesta dall’Italia. “Prosegue la pesante repressione di Lukashenko nel Paese, una situazione che si aggrava di settimana in settimana e che la comunità internazionale non può ignorare”, ha dichiarato a nome della commissione Affari esteri della Camera dei Deputati il presidente Piero Fassino. “La tutela della volontà popolare dei bielorussi di avere libertà e democrazia deve essere affrontata in tutte le sedi internazionali”, ha continuato Fassino. Con un invito al nuovo primo ministro italiano, Mario Draghi: “Il governo ponga la questione in sede europea e si prendano tutte le misure per il rispetto del popolo bielorusso”.
Gli ha fatto eco l’ex-presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini: “Le giornaliste Andreyeva e Chultsova sono state condannate a due anni per aver fatto il loro lavoro”, ha commentato su Twitter. “La leader dell’opposizione democratica Tikhanovskaya chiede di non lasciare solo il popolo in lotta per la libertà. Denunciamo con ogni mezzo la repressione di Lukashenko“.
Le giornaliste Andreyeva e Chultsova condannate a due anni per aver fatto il loro lavoro.
La leader dell'opposizione democratica @Tsihanouskaya chiede di non lasciare solo il popolo in lotta per la libertà.
Denunciamo con ogni mezzo la repressione di #Lukashenko.#Bielorussia https://t.co/PzhA0NWSRt— Laura Boldrini (@lauraboldrini) February 18, 2021
L’incontro Lukashenko-Putin
Pressato dall’Occidente, Lukashenko cerca una sponda a est, nell’alleato Vladimir Putin. Il presidente russo ospiterà lunedì prossimo (22 febbraio) l’omologo bielorusso a Sochi, in una replica dell’incontro dello scorso 14 settembre: stessi attori, stesso luogo, stessi interessi da una parte e dall’altra. Ancora è incerto se il presidente bielorusso chiederà un altro prestito a Putin da tre miliardi di dollari (dopo il miliardo e mezzo già ricevuto a settembre), ma è comunque sicuro che andrà alla ricerca di un “sostegno della Russia alla difesa e alla sicurezza del nostro Paese”, come ha dichiarato lo stesso Lukashenko.
Confermando l’incontro di lunedì, il Cremlino ha precisato che i due leader si concentreranno sui “rapporti bilaterali”, con Mosca che è sempre più interessata – e sempre più agevolata dalla debolezza internazionale del presidente bielorusso – al progetto dello Stato dell’Unione. Un’intesa che “porterebbe una maggiore integrazione tra i Paesi”, ma che sembra si stia trasformando sempre più in un’annessione mascherata.