Bruxelles – La Commissione europea adesso si assume la guida nelle crisi sanitarie. Il team von der Leyen propone la creazione di una Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA), in una mossa politica che apre il confronto con i governi nazionali, responsabili della materia. La salute e le politiche sanitarie sono di competenza degli Stati membri, ma Bruxelles decide che di fronte alle emergenze occorra un passaggio di consegne per agire meglio e più in fretta. L’obiettivo, nel caso specifico, è anticipare le mosse del Coronavirus. RIcercatori, aziende, regolatori, produttori e governi insieme in un’unica grande rete.
“Nuove varianti del virus stanno emergendo velocemente e dobbiamo adattare la nostra risposta ancora più velocemente”, spiega la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Per stare al passo con i tempi, lanciamo oggi l’incubatore HERA. Riunisce scienza, industria e autorità pubbliche e raccoglie tutte le risorse disponibili per consentirci di rispondere a questa sfida”. La proposta sarà oggetto di dibattito nel vertice dei capi di Stato e di governo della prossima settimana (25 e 26 febbraio). “Inviterò i leader a sostenere il nostro piano”.
La mossa si rende necessaria, e non vuole essere una sottrazione di sovranità agli Stati, spiega la commissia per la Salute, Stella Kyrikides. “L’incubatore HERA è un esercizio di lungimiranza, anticipazione e risposta unitaria”. Solo così “possiamo affrontare la duplice sfida di rispondere alle nuove varianti e aumentare la nostra capacità di produzione di vaccini”. L’Autorità europea “costruirà ponti tra la ricerca, l’industria e le autorità di regolamentazione per accelerare i processi, a partire dal rilevamento delle varianti fino all’approvazione e alla produzione dei vaccini”. Per debellare il Coronavirus “abbiamo bisogno di investimenti significativi ora e per il futuro ed HERA è una parte cruciale della nostra risposta”:
Il piano europeo di preparazione alla bio-difesa si concentrerà principalmente su tre ambiti: rilevamento, analisi e adattamento alle varianti di virus; modifiche normative (accelerare l’approvazione dei vaccini, fornire indicazioni sui requisiti dei dati e facilitare la certificazione di infrastrutture di produzione nuove o riutilizzate); sostenere la rapida produzione di massa di vaccini COVID-19 adattati o nuovi. Intanto oggi la presidente ha annunciato anche che “abbiamo stipulato un nuovo contratto con Moderna per ulteriori 300 milioni di dosi di vaccino contro il COVID”, 150 per il 2021 e 150 per il 2022.
Quanto al primo punto, previsti investimenti da 75 milioni di euro per svolgere più test e sequenziamento del genoma sviluppando test specializzati per nuove varianti. A ciò si aggiunge un finanziamento da 150 milioni di euro per intensificare la ricerca e lo scambio di dati sulle varianti del virus, assieme all’attivazione della rete di sperimentazione clinica VACCELERATE COVID-19, che riunisce 16 Stati membri dell’UE (Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Spagna, Svezia) e cinque paesi associati (Israele, Norvegia, Serbia, Svizzera, Turchia) per lo scambio di dati e include progressivamente anche bambini e giovani adulti come partecipanti prove.
Quanto al secondo punto, per accelerare le procedure di approvazione dei vaccini, la Commissione propone di “adattare il quadro normativo”. Un esempio prevede “la modifica della procedura di regolamentazione per consentire l’approvazione di un vaccino adattato con una serie più piccola di dati aggiuntivi presentati all’Agenzia europea del farmaco su base continuativa”. Si chiede di fornire indicazioni sui requisiti in modo che i requisiti per le varianti siano noti in anticipo, di invita a “facilitare la certificazione di siti di produzione nuovi o riutilizzati” attraverso il coinvolgimento precoce delle autorità di regolamentazione, e si invita a considerare una nuova categoria di autorizzazione di emergenza dei vaccini a livello dell’UE con responsabilità condivisa tra gli Stati membri.
Perché si possa agire insieme sarà fondamentale la cooperazione pubblico-privata. L’UE faciliterà i contatti e la cooperazione tra le autorità di regolamentazione, altre autorità pubbliche e l’industria e tra gli attori del settore coinvolti nella catena di fornitura. In questa ottica la Task Force per la produzione industriale fungerà da helpdesk per qualsiasi domanda e supporto operativo. La Commissione promuoverà la creazione, “se necessario”, di un meccanismo di licenza dedicato e volontario per consentire la condivisione del know-how tecnico attraverso partenariati industriali favorevoli alla concorrenza al fine di aumentare la produzione.
La questione è politica, ma soprattutto industriale. HERA risponde a necessità oggettive, spiega il commissario per l’Industria e il mercato interno, Thierry Breton. “Nel mondo sono stati consegnati 160 milioni di dosi di vaccino” anti-COVID, con 53 milioni nei soli Stati Unit, 41 milioni in Cina e 33 milioni nell’Europa continentate. “E’ tanto, ma è poco. E’ tanto se consideriamo i tempi di risposta, è poco se consideriamo a quanto ammonta la popolazione mondiale”. Di fronte a questi ordini di grandezza “dobbiamo dare alle imprese i mezzi per produrre su grande scala”. La pandemia dimostra che “c’è bisogno della base industriale” così da “essere autonomi da punti di vista di produzione”.
A proposito di produzione, la Commissione torna sulla questione del vaccino russo Sputnik. “Se gli Stati vogliono utilizzarlo se ne assumono la responsabilità, visto che non è stato autorizzato”, taglia corto Kyriakides a chi chiede lumi sulle intenzioni del governo ungherese di agire in deroga agli impegni assunti in sede UE. A Bruxelles comunque hanno dubbi sia sul prodotto sia sulle manovre del Cremlino. “Perché ci offrono milioni e milioni di dosi quando il processo di vaccinazione non fa progressi? Questa è una domanda a cui bisogna rispondere”, dice von der Leyen, che quindi precisa: allo stato attuale i produttori di Sputnik “non hanno fatto richiesta di autorizzazione” alla messa in commercio, e qualora lo dovessero fare, siccome non hanno impianti in Europa, “dovranno permettere ispezioni negli stabilimenti”.