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    Home » Politica Estera » Bielorussia, informazione sotto attacco: retata nelle case di 25 giornalisti e attivisti

    Bielorussia, informazione sotto attacco: retata nelle case di 25 giornalisti e attivisti

    Dura reazione della commissaria per i Diritti umani del Consiglio d'Europa, Dunja Mijatović: "Atti inaccettabili, sia rispettata la libertà d'espressione". Il presidente Lukashenko discuterà a fine febbraio con l'omologo russo Putin di integrazione tra i due Paesi

    Federico Baccini</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@federicobaccini" target="_blank">@federicobaccini</a> di Federico Baccini @federicobaccini
    16 Febbraio 2021
    in Politica Estera
    Lukashenko Bielorussia

    Bruxelles – Il regime ora punta alla libera informazione. Nella Bielorussia dell’autoritario presidente Alexander Lukashenko, mentre migliaia di cittadini vengono arrestati per il semplice scendere in piazza ogni settimana a manifestare pacificamente il proprio dissenso, nel 2021 accade che polizia e forze di sicurezza facciano irruzione e perquisiscano le case di almeno 25 tra giornalisti e attivisti per la difesa dei diritti umani.

    La leader dell’opposizione Sviatlana Tsikhanouskaya al Parlamento Europeo (16 dicembre 2020)

    Secondo quanto riporta anche il sito di Radio Liberty, non solo nella capitale Minsk, ma anche in altre città bielorusse oggi sono stati perquisiti uffici e abitazioni private. Le autorità hanno annunciato che l’operazione si inserisce “nell’ambito di un’inchiesta sul finanziamento delle proteste da parte di organizzazioni che si definiscono a difesa dei diritti umani”. La leader dell’opposizione e presidente legittima riconosciuta dall’Unione Europea, Svyatlana Tsikhanouskaya, ha invece denunciato l’azione come “una campagna mirata per intimidire le voci indipendenti“. Tre queste voci, anche il Centro per la difesa dei diritti umani Vyasna e l’Associazione bielorussa dei giornalisti, le cui sedi sono state tra gli obiettivi delle perquisizioni. “Questa è la vera crisi”, ha aggiunto Tsikhanouskaya. “Nel suo tentativo di aggrapparsi al potere, il regime sta reprimendo coloro che difendono i diritti umani. Finché rimane in piedi, tutti i bielorussi sono in pericolo“.

    Dura la presa di posizione da parte della commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović: “Le molestie attraverso perquisizioni, arresti e procedimenti penali contro giornalisti e difensori di diritti umani, inclusi i partner del Consiglio d’Europa e delle Nazioni Unite, in Bielorussia sono inaccettabili”, ha scritto su Twitter. “Le libertà di espressione, associazione e riunione devono essere garantite secondo gli standard internazionali dei diritti umani“. 

    Harassment thru searches, arrests & criminal prosecution of journalists & #humanrightsdefenders, incl. @coe & @un partners in #Belarus are unacceptable. Freedoms of expression, association & assembly shld be ensured according to intl #humanrights standards. #BAJ #Viasna #disright

    — Commissioner for Human Rights (@CommissionerHR) February 16, 2021

    La posizione del presidente

    Quello che viene ormai considerato l’ultimo dittatore d’Europa non è nuovo ad azioni non in linea con “gli standard internazionali dei diritti umani” richiamati dalla commissaria Mijatović. Le leader dell’opposizione sono tutte in esilio (Veronika Tsepkalo in Polonia, Tsikhanouskaya in Lituania) o in carcere, come Maria Kolesnikova. Per aver espresso critiche alla gestione del potere di Lukashenko, la direttrice dell’Ospedale dei bambini “St. Humbert” di Grodno, Olga Velichko, a dicembre si è vista sequestrare un ventilatore polmonare dalla struttura. Solo un mese fa sono state pubblicate delle registrazioni attribuite al vice-ministro dell’Interno e capo dell’unità speciale della polizia, Nikolai Karpenkov, in cui si autorizzava a usare cannoni ad acqua e i proiettili di gomma “a distanza ravvicinata, per menomare o uccidere” e a trasferire chi scende in piazza più di una volta in “campi di concentramento e di riabilitazione in costruzione“.

    Il presidente si sente sotto assedio (“ritengo che il nostro Paese debba rimanere una Repubblica presidenziale. Non importa quanto io sia eroico, verrà il momento“), in un’ondata di proteste che durano ormai da sei mesi e non accennano a fermarsi. Intervenendo in un’assemblea di funzionari civili e militari, ha definito le manifestazioni di massa anti-regime “una guerra-lampo”, frutto di tensioni “create artificialmente da forze esterne”.

    Il presidente russo, Vladimir Putin, e il presidente di Bielorussia, Alexander Lukashenko

    Lukashenko si ritiene vincitore (“la guerra-lampo non ha avuto successo, siamo sopravvissuti e abbiamo mantenuto il nostro Paese”), ma per “resistere a tutti i costi in questo 2021 decisivo” è inevitabile che guardi sempre più alla Russia del presidente Vladimir Putin. Il ministro degli Esteri bielorusso, Vladimir Makey, ha anticipato che i due presidenti dovrebbero incontrarsi a fine febbraio per discutere della questione dell’integrazione tra i due Paesi: “Considerando la situazione della pandemia COVID-19 e ciò che accade ultimamente rispetto ai nostri Stati, credo che avranno molte cose di cui parlare”, ha dichiarato.

    La Russia potrebbe puntare sul sentimento di accerchiamento e di attacco ai due Paesi da parte dell’Unione Europea (da ultimo il caso Navalny, per il regime di Putin) per attirare sempre più Minsk nella propria orbita. Una strategia che le leader dell’opposizione denunciano da settembre. Si attende la risposta di Bruxelles, ma intanto il governo tedesco ha deciso di ospitare 50 perseguitati politici bielorussi con le loro famiglie, che potranno “entrare in Germania il prima possibile”.

    Tags: Alexander LukashenkoBielorussiaconsiglio d'europadiritti umaniDunja Mijatovićlibertà di stampaMaria Kolesnikovaopposizione Bielorussiaproteste bielorussiarussiaSvyatlana TsikhanouskayaVeronika TsepkaloVladimir Putin

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