Bruxelles – Non ci sarà un decennio digitale nell’Unione Europea se le istituzioni non si dimostreranno all’altezza di “stabilire le regole del gioco” nello spazio online. “I social media sono da anni le nuove piazze pubbliche, per questo non possono sottrarsi all’assunzione di maggiori responsabilità sui contenuti condivisi“, ha introdotto così il dibattito di oggi (mercoledì 10 febbraio) in plenaria la segretaria di Stato portoghese per gli Affari europei, Ana Paula Zacarias, a nome della presidenza di turno del Consiglio dell’UE. La “poca trasparenza degli algoritmi e delle modalità con cui influiscono sul dibattito pubblico” è il campanello di allarme che è risuonato a Bruxelles: “Spetta a noi, istituzioni europee, definire cosa è illegale e cosa no, cosa hanno diritto a rimuovere e cosa no”.
Questo compito, che unisce Commissione, Parlamento e Consiglio dell’UE, pone al centro del dibattito il rischio di flussi di informazione incontrollati che generano fake news e la minaccia per i diritti degli utenti. Di qui la necessità di definire regole precise per le piattaforme online: “Abbiamo avviato i dibattiti sui testi del Digital Services Act e del Digital Market Act della Commissione, passi avanti per un mondo digitale più trasparente”, ha continuato Zacarias. “Queste iniziative vanno viste in linea con il Piano d’azione sugli audiovisivi e i media. Vogliamo approvare le conclusioni del Consiglio sotto la presidenza portoghese”.
Ma davanti agli europarlamentari la segretaria di Stato portoghese per gli Affari europei ha annunciato anche altre iniziative: “Entro il terzo trimestre del 2021 attendiamo una proposta legislativa della Commissione Europea per garantire maggiore trasparenza sulle sponsorizzazioni in un contenuto pubblico online“. Inoltre, “a giugno organizzeremo un’assemblea sul tema del digitale a Lisbona: al centro ci saranno la democrazia e i diritti online, perché l’Unione sia un faro nel mondo con la sua strategia digitale”. E infine “la presidenza portoghese organizzerà anche una conferenza sul futuro del giornalismo e sui collegamenti con l’intelligenza artificiale e la robotizzazione nella produzione di notizie“, ha concluso Zacarias.
Da parte della Commissione, Věra Jourová, vicepresidente per i Valori e la trasparenza, ha espresso la preoccupazione per il potere quasi incontrollato delle Big Tech: “Il fatto che possano eliminare anche l’account di un presidente [Donald Trump, ndr] è allarmante, per quanto il suo incitamento all’odio richiedeva una reazione. Dobbiamo fare in modo che anche le piattaforme digitali rispondano a regole definite“. Per questo motivo servono “obblighi di più facile attuazione” e “una tabella di marcia per porre fine a questo ‘wild west digitale’ e correggere le distorsioni che vediamo online”, ha aggiunto la vicepresidente Jourová.
Il punto centrale del ragionamento della Commissione è che “se non saremo ambiziosi nel far rispettare le regole, saremo sempre quelli che le subiranno“. Per l’Unione “è tempo di agire, conto molto sul sostegno del Parlamento Europeo per adottare la legislazione proposta dalla Commissione”, si è rivolta così Jourová all’emiciclo. “Dobbiamo evitare che gli Stati membri vadano ognuno per conto suo, frammentando l’approccio comune nei confronti delle aziende digitali”. La vicepresidente della Commissione ha infine assicurato che “le norme che adotteremo saranno ideologicamente neutre, né di destra né di sinistra, e non c’è dubbio che tuteleranno la libertà di espressione”.
Le preoccupazioni degli europarlamentari
La necessità di prendere contromisure nei confronti dei giganti del web è trasversale al Parlamento Europeo. “Non sono questioni di una parte politica o dell’altra, bisogna tutelare i valori della democrazia”, ha esordito l’europarlamentare in quota Lega Annalisa Tardino. “Oggi le loro policy incidono nelle politiche reali, perché possono decidere cosa si può pubblicare nello spazio digitale e cosa no”, ma “qualsiasi oscuramento può essere deciso solo da un’autorità pubblica a cui ci si possa appellare, non da colossi privati digitali che fungono da giudizi della democrazia”, ha aggiunto l’eurodeputata italiana.
Da parte dei socialdemocratici, Brando Benifei ha avvertito che “il potere dei social media è diventato totalizzante”, dopo “anni di manipolazione delle interazioni degli utenti online e l’espansione dell’uso del pagamento per avere aumenti nelle visualizzazioni”. Per il capo-delegazione del Partito Democratico, “serve ora una nuova Costituzione in ambito digitale“. Gli ha fatto eco il collega di gruppo parlamentare Alex Agius Saliba, relatore del primo rapporto del Parlamento UE sul Digital Services Act: “Facebook, Google e le altre piattaforme online sono imprese di interesse generale, con cui le persone fanno acquisti, interagiscono, vivono. Ma nascondono nuovi pericoli”. Per l’eurodeputato maltese “è inaccettabile che siano diventati coloro che fissano le regole per il quadro legislativo in cui operano online”. Dal momento in cui “il quadro legislativo vigente non è idoneo a un effettivo controllo democratico, abbiamo bisogno di una serie di norme trasparenti ed eque che rispettino lo Stato di diritto”. Il modo per raggiungerlo è “mettere a punto testi completi sul Digital Services Act e sul Digital Market Act“.
L’europarlamentare del Movimento 5 Stelle Laura Ferrara ha avvertito che “non siamo adeguatamente protetti dalla proliferazione di contenuti di incitamento all’odio e dalle ingerenza straniere nell’opinione pubblica”. Ma, grazie al Piano d’azione sugli audiovisivi e i media, “ci aspettiamo interventi significativi per ottenere maggiore trasparenza dalle piattaforme digitali e per mitigare il rischio di conflitto con la libertà di opinione“. Secondo Sandro Gozi (Renew), “le aziende tecnologiche si sono nascoste dietro alla scusa che sono spazi liberi neutri”, ma ormai “è un alibi che non regge e la neutralità della rete non significa rimanere neutrali davanti alle violazioni dei diritti dei cittadini online“. Da parte dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), Nicola Procaccini ha aggiunto che “non possiamo delegare la regolamentazione alle multinazionali private, è compito nostro” e che “la libertà di espressione può essere limitata solo se a stabilirlo è un’autorità pubblica: è la base dello Stato di diritto”.