I cervelli in fuga dall’Italia non sono solo i giovani scienziati (nel senso più ampio del termine) che devono trovare uno spazio all’estero per poter, alle volte, semplicemente lavorare. No, sono anche uomini e donne, quasi tutti passati dalla “rete magica” che si stende tra ministero del Tesoro e Banca d’Italia, che ad un certo punto della loro carriera hanno avuto importanti incarichi in ruoli chiave a livello internazionale, dai quali hanno stesso, spesso senza farsi notare, la “rete di protezione” che ha consentito all’Italia di stare in piedi negli ultimi sconquassati venti-trenta anni. Pensiamo ovviamente a Mario Draghi, ma anche a Lorenzo Bini Smaghi, a Dario Scannapieco, a Fabio Panetta, o a Lucrezia Reichlin (anche se ha una storia professionale un po’ diversa).
“Eccellenze” italiane vengono definite, ma sono anche qualcosa di più, sono quel raffinato sistema di cervelli che, sempre nel rispetto dei loro ruoli, sempre raccogliendo la stima e la fiducia di chiunque nel Mondo, con il loro lavoro hanno anche permesso all’Italia di poter almeno continuare a galleggiare, manovrando da oltre confine.
Solo tre parole. Pronunciando solo tre parole (e un bel po’ di storia personale) uno di loro è diventato il più stimato dirigente europeo degli ultimi decenni ed è riuscito a cambiare la storia dell’Unione europea. Quando, il 26 luglio 2012 parlando a Londra alla “Global Investment Conference”, Mario Draghi annuncia il suo “whatever it takes” sa che sta giocando la carta più pesante che ha a disposizione, lui stesso e l’Unione tutta, per salvarsi dal tracollo finanziario al quale si stava affacciando, in particolare per la disastrosa situazione di Italia e Spagna. La gioca e vince la partita.
La frase arriva più o meno a metà del discorso: “All’interno del nostro mandato, la BCE è pronta a fare tutto quanto è necessario per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza. (Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough). C’è tutto il peso della storia dell’uomo, della sua credibilità, e del lavoro fatto nelle settimane precedenti per poter arrivare a pronunziare quelle parole.
Draghi era arrivato alla guida della Banca Centrale Europa da poco meno di un anno (dal primo novembre 2011) e aveva una rispettabile carriera internazionale. Tra il 1984 e il 1990 era stato Direttore Esecutivo della Banca Mondiale, poi dal 2002 al 2005 era ai vertici del gruppo Goldman Sachs, ed infine Presidente del Financial Stability Forum (che nel 2009 divenne Financial Stability Board) dall’aprile del 2006 al 2011. Per il resto tutto in Italia, sintetizzando al massimo, prima Direttore Generale del Tesoro e poi Governatore della Banca d’Italia, dal 2005 al 2011. Ha insegnato in tutto il mondo, nelle principali università, come Firenze, Venezia, Princeton ed Harvard.
Aveva insomma un passato robusto, caratterizzato anche frequenti richiami ai governi italiani perché si decidessero a mettersi sulla strada delle riforme. Un uomo indipendente e credibile dunque.
Ma da solo non ce l’avrebbe fatta a correggere il corso della storia dell’Unione.
“Il ‘Whatever it takes’ apre nella politica europea un altro orizzonte che non aveva precedenti. […] Da quel momento, si può dire che l’Europa diventi l’Europa di Mario Draghi. A posteriori, lo riconoscono sia gli estimatori, sia i detrattori”, scrive l’Enciclopedia Treccani nella definizione sull’espressione di Draghi che dal giugno 2020 è stata inserita nell’enciclopedia.
Quelle parole sono finite in un’enciclopedia perché ad anni di distanza sono diventate parte del lessico comune, perché sono state un successo. In quei mesi si dovevano proteggere le economie di Italia e Spagna, per non parlare della situazione in Grecia, dove i titoli di stato erano schizzati a spread insostenibili, che stavano chiaramente mostrando che il crollo era imminente, secondo molti leader europei e analisti internazionali, come l’allora presidente del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, che nel 2019 prese poi il posto di Draghi alla BCE.
Erano mesi di tensioni enormi: l’euro era sull’orlo dell’esplosione, l’impennata dei tassi di debito in molti Paesi, la crescente sfiducia del risparmio globale verso la Zona euro. Avrebbe potuto essere una catastrofe.
E qui appare l’altra, un’altra tra i protagonisti di quella stagione. Fece molti errori secondo alcuni Angela Merkel in quegli anni, soprattutto all’inizio della crisi greca fu accusata di temporeggiare troppo a lungo, ma quando la cercò Mario Draghi capì che bisognava agire. E lo fece. Si impose al Consiglio Europeo del giugno 2012, dal quale uscì il messaggio per Draghi: Vai avanti, siamo con te.
Pochi giorni dopo arrivò il discorso di Londra.
Gli effetti delle parole di Draghi arrivarono subito sui mercati. Lo spread tra titoli di stato italiani e bund tedeschi calò immediatamente di decine di punti. E nei mesi successivi il mercato riprese vigore, salvando l’economia europea dal crollo.
Da quando Sergio Mattarella ha scelto lui per tentare di guidare un nuovo governo in Italia Draghi, pubblicamente, non ha aperto bocca, ma il risultato sullo spread e sulle borse è comparabile a quello di tanti anni fa: quello scende, queste salgono.
L’Unione europea era affidabile, continuò Draghi: “L’ultimo vertice (quello del giugno 2012, ndr) è stato un vero successo, perché per la prima volta in molti anni, tutti i leader […] hanno detto che l’unico modo per uscire da questa crisi è avere più Europa, non meno Europa”.
Come influì sul quel Consiglio europeo Draghi ha influito in quello del luglio scorso dal quale nacque il Recovery Fund, l’ex presidente della BCE chiese proprio una soluzione di questo tipo ai leader, e quei leader, quella politica, ancora una volta decise di seguirlo, e vinsero tutti.
Ora tocca all’Italia, da sola, decidere se affidarsi ad un uomo così o se lanciarsi nel baratro di elezioni che bloccherebbero il Paese, come ha segnalato Mattarella, per alcuni mesi, che invece saranno decisivi.