Bruxelles – “Serve per fornire il prima possibile vaccini efficaci e sicuri”. Così in conferenza stampa la Commissaria europea per la salute Stella Kyriakides giustifica l’entrata in vigore del meccanismo che da domani 30 gennaio regolerà le esportazioni di vaccini effettuate da parte delle compagnie con cui l’Unione Europea ha firmato i contratti di acquisto preventivo (Advance Purchase Agreement) volti ad assicurarsi le dosi di siero necessarie per proteggere i cittadini europei contro la Covid-19.
Il nuovo meccanismo viene battezzato nei giorni in cui la Commissione europea si infuria per i ritardi delle consegne delle quantità di vaccini concordate negli scorsi mesi con le cause farmaceutiche (come nel caso di Astrazeneca). Una misura che si rende necessaria, secondo le parole pronunciate dal Commissario per gli Affari economici Vladis Dombrovskis, “per garantire l’estrema trasparenza che è mancata fino ad ora” e che ora l’Europa si aspetta “per assicurare la consegna dei vaccini”.
Il nuovo meccanismo sarà operativo sin da subito perché adottato dalla Commissione attraverso una procedura di emergenza prevista dalla normativa comune sulle esportazioni e resterà attivo fino al 31 marzo 2020 (ovvero fino allo scadere del trimestre per cui le aziende farmaceutiche hanno annunciato il taglio delle consegne delle dosi).
All’atto di di richiedere la possibilità di esportare le fiale verso un Paese terzo l’azienda dovrà richiedere l’autorizzazione allo Stato membro in cui i vaccini sono stati prodotti. Quest’ultimo dovrà processare l’istanza il prima possibile e non più tardi di due giorni lavorativi dalla ricezione di tutte le informazioni richieste all’azienda. Nel decidere sull’autorizzazione, lo Stato membro, di concerto con la Commissione (il cui parere sarà vincolante), deve verificare che la quantità di vaccini diretta verso il Paese terzo non sia tale da pregiudicare la dotazione di vaccini contenuta nei contratti stipulati da Bruxelles con la stessa casa farmaceutica.
Alla base del “nulla osta”, dunque, ci sarà un accordo tra lo Stato membro di produzione del vaccino e la Commissione. Una questione che di fatto lascia spazio a possibili fratture tra i Paesi europei e palazzo Berlaymont, sebbene la stessa Commissaria Kyriakides abbia garantito l’unità di intenti da questo punto di vista.
Per mettere la Commissione e gli Stati membri nella condizione di poter accertare che la domanda di esportazione non arrechi danno ai piani di vaccinazione elaborati dall’UE, le aziende che hanno firmato già dei contratti con Bruxelles devono rendere conto di tutte le esportazioni effettuate dal 29 ottobre 2020, ovvero nei tre mesi precedenti l’entrata in vigore delle nuove regole. In caso contrario la Commissione potrà rigettare tutte le richieste di esportazioni che perverranno nei prossimi mesi.
Per ora la Commissione ha assicurato il suo impegno a non intralciare l’esecuzione dei contratti stipulati dai Paesi terzi con i produttori di vaccini che hanno sede in Europa, ma non è chiaro se tale azione possa funzionare nell’evitare frizioni internazionali. La stessa commissaria Kyriakides ha escluso qualsiasi iniziativa protezionistica. “Non ci stiamo proteggendo contro nessun paese in particolare, non siamo in competizione contro nessuno. L’unica gara che stiamo facendo è quella contro il virus”, ha detto in conferenza stampa.
Quello che ora interessa alla Commissione è un approccio basato “sulla fiducia, sulla responsabilità e sulla trasparenza”. “Nell’ultimo anno abbiamo lavorato molto per ottenere degli accordi di acquisto preventivo con i produttori di vaccini per i cittadini europei e per quelli dei Paesi vicini allo scopo di rendere disponibili le somministrazioni non appena i vaccini fossero stati autorizzati”, ha continuato in conferenza stampa Kyriakides. “Abbiamo investito nella scienza e continueremo a farlo, ma abbiamo bisogno che gli accordi siano rispettati”, ha concluso la commissaria riferendosi agli eventi degli ultimi giorni.
Il meccanismo di autorizzazione rende esenti le esportazioni effettuate a scopo umanitario o quelle destinate agli Stati dei Balcani Occidentali e del Nord Africa, oppure dirette ai 92 Paesi a basso e medio reddito compresi nel sistema Covax, l’iniziativa creata per evitare che gli Stati più svantaggiati possano ugualmente accedere ai vaccini.