Bruxelles – La Polonia si ribella. Ancora. È scoppiata ieri sera (giovedì 28 gennaio) una nuova ondata di proteste in decine di città contro il divieto quasi totale di aborto, dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della controversa sentenza della Corte costituzionale lo scorso mercoledì. Migliaia di manifestanti sono scesi nelle strade della capitale Varsavia, ma anche a Danzica, Poznan, Rzeszow, Stettino e Katowice, per opporsi alla giustificazione scritta della sentenza e alla traduzione in legge da parte del governo.
“Il divieto di aborto è una tortura”, è la frase comparsa più di frequente tra gli striscioni che hanno criticato l’inasprimento delle già rigide leggi in materia: la sentenza di ottobre (e quindi ora la legge polacca) bolla l’aborto come reato, fatta eccezione per casi di stupro, incesto o rischio per la vita della madre. Bisogna ricordare che la legislazione polacca su questo tema è già particolarmente severa, in Europa seconda solo a Malta (dove è vietato in qualsiasi caso). A inizio novembre il governo guidato dal partito sovranista Diritto e Giustizia (PiS) del premier Mateusz Morawiecki e del leader della destra conservatrice, Jarosław Kaczynski, aveva deciso di rinviare la traduzione in legge della sentenza per stemperare il clima dopo due settimane di proteste ininterrotte. Ma due mesi dopo, l’ultimo passaggio per l’entrata in vigore della legge è arrivato allo scoccare della mezzanotte tra mercoledì e giovedì.
Nel corso delle proteste di ieri, tre persone sono state arrestate a Varsavia davanti alla Corte Costituzionale. Tra queste c’è anche Klementyna Suchanow, una delle leader di del movimento spontaneo di protesta Strajk Kobiet (“sciopero delle donne”): l’agenzia polacca Pap riferisce che la donna è accusata di aver invaso l’area che ospita l’edificio della Corte. Marta Lempart, un’altra delle leader della protesta, ha convocato per oggi una nuova manifestazione nazionale di protesta a Varsavia.
La reazione europea
A condannare “l’attacco ai diritti fondamentali delle donne” sono intervenuti i presidenti della commissione del Parlamento UE per i Diritti della donna e l’uguaglianza di genere, Evelyn Regner, e della commissione per le Libertà civili, giustizia e affari interni, Juan Fernando López Aguilar. “In Polonia, la misoginia regna sovrana”, ha attaccato Regner. “È un attacco ai diritti umani e fondamentali e dovrebbe essere impensabile in una democrazia liberale nel 2021. Sto con i manifestanti che si pronunciano contro questa politica retrograda”.
La presidente della commissione FEMM ha avvertito che “gli aborti avvengono indipendentemente dal permesso o meno” e ora “la legge polacca spinge le donne ad agire illegalmente e mette a rischio la loro vita”. Già nel novembre 2020 il Parlamento Europeo aveva condannato la sentenza del Tribunale polacco, “che non è più indipendente”, ha aggiunto Regner: “Abbiamo ripetutamente chiesto che il diritto all’autodeterminazione corporea sia sancito nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e che i fondi dell’UE siano collegati a criteri basati sullo Stato di diritto”.
"In Poland, misogyny reigns supreme. I stand with the protesters in Poland who are speaking out against this backward-looking policy.”
Europe must uphold #WomensRightsAreHumanRights @Europarl_EN @EU_Commission @EUCouncil #StrajkKobiet
🔽🔽🔽https://t.co/eJkQdwHSkH https://t.co/OxQPlUvZ43— Evelyn Regner (@Evelyn_Regner) January 28, 2021
López Aguilar ha aggiunto con forza che “questa decisione mostra ancora una volta che gli attacchi allo Stato di diritto, alla democrazia e ai diritti fondamentali in Polonia devono essere affrontati con urgenza”, dal momento in cui “l’indipendenza della magistratura in Polonia non è più garantita”. Ma soprattutto, “il diritto di una donna di prendere decisioni sulla propria gravidanza senza essere perseguita non dovrebbe essere incostituzionale in nessun paese dell’Unione Europea”, ha aggiunto il presidente della commissione LIBE.