Mentre Renzi inneggia al Rinascimento saudita e frequenta l’establishment di un regime assassino, c’è un altro personaggio tutto italiano che in questi giorni troneggia in una corposa intervista sul Corriere della sera. Rocco Siffredi, la star del porno, di cui il giornale celebra la carriera, da cameriere a Parigi a Premio Nobel del Porno, un titolo che solo per il nome dovrebbe suscitare costernazione.
Certo, ognuno è libero di primeggiare in quello di cui è capace, questo è un fondamento delle società liberali e non c’è limite all’eccellenza. Ma un paese dove l’intervista a una star del porno occupa tutto un paginone del principale quotidiano nazionale è un paese perduto. Qui non c’entra la morale né i costumi sessuali anche se dev’essere dura per Rocco tornare la sera dal lavoro e baciare la moglie sulla guancia dicendo “è stata una giornata pesante” e sicuramente dev’essere lui nella coppia quello del mal di testa.
Qui è in ballo la visione di riuscita, di compimento di sé che una società è capace di esprimere e che trasmette alla sua gioventù. Il messaggio che questa intervista trasmette è in fin dei conti l’esaltazione di una patologia, la celebrazione di una deriva. Rocco Siffredi pratica un mestiere certo vecchio come il mondo, ma che nasconde un aspetto carico di ombre del vivere umano e che una società sana non può mettere alla stregua di una qualsiasi professione. Nell’intervista la pornostar ricorda i suoi genitori, che gli hanno insegnato i valori importanti della vita e che gli rompevano i piatti in testa se non mangiava. Ricorda anche come da ragazzino fosse stato folgorato dai giornalini porno.
Lo siamo stati in molti ma in maggioranza ne siamo venuti fuori, ci siamo messi a leggere altro, magari perfino libri, e abbiamo sviluppato una sessualità normale. Abbiamo sognato di diventare medici o esploratori, gelatai o domatori di leoni. Rocco invece frequentava locali di scambisti e sognava di fare la pornostar. Sua madre che lo incoraggiava, alle vicine scandalizzate diceva “io gliel’ho fatto così e ci fa quel che vuole”. Grandi insegnamenti che oggi il Corriere della Sera fa suoi e in un certo modo presenta agli italiani come una possibile scelta di vita. “Se ho fatto tutto questo, l’ho fatto per passione” dice Rocco sviscerando il suo ideale della realizzazione di sé.
La vita di Siffredi potrebbe essere un romanzo, addirittura un film, non porno ma drammatico. Il racconto triste di un uomo che parla del porno come del suo “antidolorifico naturale”, che riconosce di non essere “mai stato dipendente da altro che dal sesso: niente droga, niente alcol” e che con il porno è diventato ricco. Il porno, non l’innovazione tecnologica, l’ingegneria genetica, la biochimica, la ricerca spaziale. Una via al successo tutta italiana. Una storia che dovrebbe magari farci riflettere sulle poche opportunità di lavoro e di carriera che la società italiana offre, spesso costringendo i suoi giovani a emigrare e qualcuno, peggio, a dedicarsi alla pornografia per vivere.
Cosa ne sarebbe stato di Rocco Siffredi se invece di leggere giornali pornografici e frequentare locali di scambisti avesse avuto un’istruzione? Se invece di crescere nella miseria di una periferia prendendo piatti in testa dalla madre e con un padre che “l’unica cosa che faceva davvero bene era andare a cercar donne” avesse avuto l’attenzione di una società che crede nella sua gioventù e la sostiene? Forse oggi nessuno parlerebbe di lui e questo sarebbe un buon segno. Che un italiano sia diventato una pornostar di fama internazionale dovrebbe rattristarci, invece siamo qui a celebrare Rocco Siffredi come un eroe, quello che fotte tutti anche da parte nostra. Queste sono le grandi vittorie italiane.