Bruxelles – L’impegno di AstraZeneca nei confronti di Ue e Stati membri nella distribuzione del suo vaccino anti-Covid è legato al principio del “miglior sforzo ragionevole” (best reasonable efforts) come aveva anticipato due giorni fa il ceo della società Pascal Soriot. È scritto nel contratto dell’Ue con la farmaceutica anglo-svedese che la Commissione ha potuto pubblicare oggi, dietro autorizzazione della società. Un contratto di prenotazione siglato a fine agosto per l’acquisto di 300 milioni di dosi e l’opzione per sbloccarne altri 100. Nel contratto, però, sono state oscurate molte sezioni relative a dati sensibili, come il valore economico del contratto o il numero delle dosi che effettivamente la società avrebbe dovuto distribuire all’Ue nel primo trimestre, prima di annunciare una riduzione fino al 60 per cento. Nonostante la pubblicazione del contratto rimangono tanti punti in sospeso.
‘Best reasonable efforts’
Non è chiaro intanto cosa significhi legalmente “fare il meglio possibile” per onorare il proprio impegno di distribuzione delle dosi in tempi accertati. Chi stabilisce che l’azienda abbia fatto o meno tutto il possibile per consegnare le dosi in tempo? Nel contratto è riportata una definizione molto vaga e per ragionevoli sforzi si intendono “le attività e il grado di impegno che un’azienda di dimensioni simili con un’infrastruttura di dimensioni simili e risorse simili a quelle di AstraZeneca intraprenderebbe o utilizzerebbe nello sviluppo e nella produzione di un vaccino nella fase di sviluppo o commercializzazione vista l’urgente necessità di un vaccino per porre fine a una pandemia globale”.
Per l’Ue, spiegano fonti, c’è un obbligo contrattuale che Astrazeneca starebbe violando con l’annuncio di tagliare le dosi riservate all’Ue, mentre quelle per il Regno Unito non stanno subendo alcun ritardo. Da parte di Bruxelles, il contratto e l’impegno ha un preciso valore legale, dunque spetterebbe “a giudici esterni stabilire se l’azienda ha fatto o no tutto il possibile per adempiere ai propri obblighi legali”. Di certo non all’azienda stessa.
L’idea di ricorrere a una terza parte per risolvere eventuali contenziosi rischia di ritardare ancora di più i piani di vaccinazione dell’Ue. Ad ogni modo, la presidente Ursula von der Leyen, in un’intervista di questa mattina a un media tedesco, aveva però negato in toto l’esistenza di questa frase ‘migliore sforzo possibile’ da parte della casa farmaceutica. Per quanto vago e poco oggettivo, il riferimento a un “miglior sforzo possibile” per onorare il proprio impegno è ben presente e ripetuto in tutte le 41 pagine del contratto pubblicato (circa sedici volte). Non c’è nessun riferimento a come risolvere questo tipo di controversia giuridica.
Gli impianti in Gran Bretagna
Altro punto di discordia è la questione degli stabilimenti “a disposizione” dell’Unione Europea per la fabbricazione del vaccino. Di fatto il contratto non dice che ci siano due catene di produzione separate per Ue e Regno Unito, come aveva sostenuto il ceo della farmaceutica. Al paragrafo 5.4 il contratto specifica che AstraZeneca è tenuta a “fare tutti gli sforzi possibili per produrre il vaccino presso siti di produzione situati all’interno dell’Ue” (in cui a questo scopo – solo a questo scopo – vengono inclusi anche i due stabilimenti presenti nel Regno Unito) e potrà eventualmente fabbricare il vaccino in strutture extra-Ue per cercare di “accelerare la fornitura vaccino in Europa”. Secondo contratto, la possibilità di usare siti di produzione fuori dall’Ue è subordinata a una notifica scritta “che includa una spiegazione per tale decisione”.
Poco prima, però, (al paragrafo 5.1) si legge che la società si impegnerà “per la produzione delle dosi iniziali (quelle previste nel primo trimestre) dentro l’Ue per la distribuzione e per consegnarle agli hub dopo l’autorizzazione all’immissione in commercio”. Non essendoci in questo passaggio l’esplicito riferimento agli impianti del Regno Unito (come nel 5.4) fa venire il dubbio che per le prime dosi iniziali l’azienda non sia effettivamente obbligata a usare anche gli stabilimenti siti in Uk..
Per l’Ue i due punti non sono in contraddizione: fonti precisano che i due impianti di produzione nel Regno Unito non “sono piani di riserva” per le dosi destinate all’Ue ma fanno parte integrante del piano per produrre le dosi anche per gli stati membri, tanto che nell’ultima parte del contratto, tra gli allegati finali, c’è il riferimento anche a quegli impianti per la produzione.
Nessuna responsabilità in caso di ritardi per “cause di forza maggiore”
Al paragrafo 18.7 è previsto che per cause di forza maggiore “né la Commissione né gli Stati membri né AstraZeneca saranno ritenuti responsabili nei confronti dell’altra parte o si riterrà che abbiano violato” l’accordo sui vaccini per il “mancato o ritardato adempimento o esecuzione di qualsiasi termine dell’accordo”. Tra le cause di forza maggiore ci sono anche incendi, inondazioni, terremoti, uragani, embarghi, carenze, epidemie, quarantene, guerre, atti di guerra e atti terroristici. Da contratto si escludono però “inadempienze di servizio, difetti di attrezzature o materiali o ritardi nella loro messa a disposizione, controversie di lavoro, scioperi e difficoltà finanziarie”.
Autorizzazione dell’Ema
Si litiga sui ritardi nella distribuzione, ma il vaccino non è stato ancora autorizzato all’immissione in commercio in Europa comunitaria. Oggi atteso il parere scientifico dell’Agenzia europea per i medicinali al vaccino di Astrazeneca, a cui seguirà l’autorizzazione della Commissione Europea.
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