Fuori dall’Italia si incrociano le dita, di più non si può fare, si rinuncia oramai a capire questo momento inspiegabile della politica nazionale. Nessuno riesce a darsi una ragione del perché un governo che, a giudizio di quasi tutti gli osservatori, non sta facendo peggio di altri per frenare la pandemia ma che ha una situazione economica ben peggiore di altri sia caduto, ma, sopratutto, non si riesce a capire che piega prenderà questa storia. “Gli italiani sono così…” dice qualche osservatore, oramai arresosi all’imprevedibilità (o alla troppa prevedibilità) della politica di un Paese che ha tutti i principali indicatori negativi e dove è visto necessario un cambio radicale della sua struttura economica e amministrativa.
Quindi si incrociano le dita perché questa crisi sia il più breve possibile, e che il governo che ne verrà fuori, che nessuno si aspetta meglio di una “coalizione raccogliticcia”, possa in qualche modo riprendere rapidamente in mano le redini, e non si vada invece ad elezioni anticipate, che bloccherebbero il Paese almeno per un paio di mesi.
Mesi preziosi, i più preziosi da decenni, quando ci si affaccia ad un PIL 2021 in crescita, sostiene la Commissione europea nelle sue ultime previsioni, al 4,1 per cento (due punti percentuali in meno rispetto alle previsioni economiche d’estate, che dicevano 6,1%). Ieri sono arrivati altri due veri e propri schiaffi all’Italia: uno dal Fondo monetario internazionale ed uno dall’agenzia ONU per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD).
L’FMI, scommettendo su un buon risultato della campagna vaccinale ha rialzato ieri le stime mondiali di crescita per quest’anno, ma abbassa quelle per l’Italia. Mentre il Mondo dovrebbe crescere del 5,5 per cento (con un aumento dello 0,3 rispetto alle stime precedenti del Fondo) l’Italia che, anche da Washington come da Bruxelles, confermano nel 2020 ha perso meno del previsto, secondo l’FMI quest’anno crescerà del 3,0 per cento, cioè 2,2 punti percentuali in meno delle previsioni precedenti. Nel 2022 la ripresa potrebbe invece essere più sostenuta del previsto: 3,6 per cento, l′1,0 per cento in più rispetto a quanto previsto in autunno. Ma questo, naturalmente, fotografando la situazione com’era fino a qualche giorno fa, con un governo in carica e un Recovery plan da 209 miliardi alle porte.
Il Pil dei Paesi dell’euro il prossimo anno però secondo il Fondo crescerà nel 2021 di un 4,2 per cento, un punto in meno rispetto alle previsioni di ottobre, ma più dell’Italia. Per gli Stati Uniti la crescita con Biden, dopo la leggera contrazione dell’ultimo anno dell’era Trump dello 0,4 per cento è vista al 5,1 per cento, due punti in più rispetto a quanto previsto ad ottobre.
Il governo era in carica anche lo scorso anno, ed il Recovery plan a luglio era già nato, ma secondo i calcoli dell’UNCTAD questo non ha in nessun modo rafforzato le visioni sul nostro Paese da parte degli investitori internazionali. Secondo gli studi dell’Agenzia ONU nel 2020 l’Italia (insieme alla Gran Bretagna sconquassata dalla Brexit), è stato l’unico grande Paese europeo che ha attirato una crescita di investimenti stranieri pari a zero, restando ferma ai dati del 2019, afferma l’Investment Trends Monitor di UNCTAD.
Senza attraversare l’Oceano bastano anche i dati della Commissione europea, sempre espressi a politiche invariate e sempre immaginando che ci sia un governo in carica, cosa che hanno tutti gli altri Paesi europei, tranne i Paesi Bassi, dove il premier si è dimesso da una settimana, ma dove comunque a marzo c’è la scadenza naturale della legislatura.
Il recupero dell’UE non è più fissato al 5,8 per cento. Nelle previsioni economiche d’autunno l’economia a dodici stelle è vista in risalita fino al 4,1 per cento il prossimo anno. L’Italia dunque, se non avesse avuto ostacoli, avrebbe potuto aspettarsi un ritmo di ripresa in linea con la media europea, e anzi si sarebbe potuta sfilare anche la maglia nera d’Europa: nel 2021 non avrebbe più dovuto essere ultima per ritmi di crescita, perché la Commissione si aspettava che andasse meglio di altri sedici Paesi, inclusa la Germania (più 3,5 per cento nel 2021), che comunque parte da dati complessivi completamente diversi.
Le stime dell’esecutivo comunitario non consideravano i piani di rilancio che nasceranno dal Recovery, e qui nasce un problema per l’Italia rispetto ad altri grandi Paesi: Germania e Francia si basano enormemente meno dell’Italia su questo strumento, dunque la loro strada è più “continua”, si basa su strutture più solide che possono dare un buon margine di sicurezza alle previsioni, per il nostro Paese invece la spinta del Recovery può essere quella che può dare una svolta vera, sempre che si riesca a metterlo a punto ed a realizzarlo, cosa che diventa comunque più difficile a causa dei ritardi della crisi, e che potrebbe diventare difficilissima in caso di elezioni e dunque di cambio di maggioranza con conseguente cambio della visione economica. E, per lo meno a Bruxelles, un governo guidato da Lega e Fratelli d’Italia (questi ancora in realtà quasi sconosciuti se non per l’amicizia con Viktor Orban e Donald Trum, due politici non esattamente stimati nel resto d’Europa) aprirebbe una stagione di grandi incognite.
Tutto questo per non parlare del debito pubblico italiano, letteralmente esploso con la pandemia, arrivando a sfiorare il 160 per cento nel 2020 e chissà come si muoverà nel 2021, se cambieranno le politiche. La Commissione non nasconde le sue preoccupazioni: “Le misure di sostegno alla liquidità alle imprese, comprese le garanzie statali, implicano alcuni rischi per le proiezioni del debito” nel medio termine.
Oltre al debito finisce fuori controllo anche il deficit. Dopo un minimo storico di 1,6 per cento del PIL nel 2019, il brusco aumento del 2020, e rimarrà ben al di sopra della soglia del 3 per cento per il prossimo biennio (7,8 nel 2021 e 6 nel 2022).