Di Daniele Valentino
Tornare a vivere e a viaggiare, senza più la preoccupazione di dover presentare un tampone negativo alla partenza e al ritorno nel proprio paese. Uno scenario immaginario che sta prendendo sempre più piede in Europa, dopo la proposta avanzata dal primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, in una lettera indirizzata alla presidenza della Commissione europea, di istituire un “passaporto immunitario” per tutti i cittadini che abbiano completato il processo di vaccinazione contro il covid-19.
Una proposta ben accolta dalla presidente Ursula von der Leyen, che consentirebbe agli stati membri di rilanciare il turismo all’interno dell’Unione, già duramente colpiti nell’ultimo anno. «Penso che sia importante. E, come ho detto, dobbiamo avere un requisito medico che dimostri che le persone siano state vaccinate» ha affermato in un incontro stampa con alcuni giornalisti portoghesi.
Meno entusiasti sono stati Tedros Ghebreyesus – direttore generale dell’Organizzazione mondiale per la Sanità (OMS) – e alcuni rappresentanti dei governi nazionali. Tra questi ultimi, il ministro tedesco della salute, che ha espresso i suoi timori riguardo un progetto poco democratico e altamente discriminatorio, tra coloro che hanno avuto l’opportunità di ricevere il vaccino e chi no.
Un progetto straordinario, una ridefinizione delle regole all’interno dell’area di Schengen, la cui realizzazione, però, sembra ancora ben lontana.
Proprio in questi giorni infatti si è abbattuto sull’Unione un ulteriore ostacolo davanti alla campagna di vaccinazione europea: il ritardo della scorsa settimana dell’azienda Pfizer nella consegna di alcune dosi di vaccino agli stati membri, tra cui anche l’Italia. Un ritardo inaccettabile, ha dichiarato il Commissario straordinario Domenico Arcuri a Domenica In, affermando che, nonostante tutto, il SSI attualmente possiede «una quantità di scorte – bassa ma sufficiente – a permettere i richiami», auspicando a un sistema di prestiti fra regioni, qualora dovesse essere necessario.
Un fattore che cambia non di poco le carte in tavola nel nostro paese, costretto a gestire negli ultimi giorni non solo la crisi di governo, ma anche le numerose divisioni politiche interne – a più livelli – riguardo il protocollo di vaccinazione, nonostante presenti uno dei tassi di somministrazione più alti dell’Unione. Proprio il tema dei richiami delle seconde dosi di vaccino è in queste ore al centro di animate discussioni, in Italia come in Europa.
Tra queste, infatti, negli ultimi giorni è sorta l’ipotesi, da parte di più attori internazionali, di modificare l’iter della procedura di somministrazione adottata fino ad adesso. Una proposta definita “irresponsabile” dal virologo Andrea Crisanti, lo scorso giovedì durante un intervento a Piazza Pulita: «Questi vaccini sono approvati perché sono stati fatti degli esperimenti che hanno dimostrato che tra i 20 e i 30 giorni inducono una risposta protettiva. Se cambiamo il protocollo rendiamo totalmente inutile il processo di approvazione».
Una situazione ancora non sufficientemente trasparente e sicura, forse, per poter parlare concretamente di un “passaporto immunitario”. Al tempo stesso, un’ulteriore sfida che necessita di una particolare attenzione e unione tra i vertici europei.