Bruxelles – Investire nel digitale. È questa la strada tracciata dall’Unione Europea, con la promessa di destinare il 20 per cento delle risorse del Next Generation EU a questo scopo. E ce ne sarà bisogno. Come rileva la Banca europea per gli investimenti (BEI) nell’ultimo rapporto annuale sugli investimenti in Europa (Building a smart and green Europe in the Covid-19 era), al 2020 più di un’azienda su tre non è ancora riuscita ad adottare nuove tecnologie digitali (37 per cento).
È sì incoraggiante che la percentuale di imprese digitali sia cresciuta di 5 punti percentuali in un solo anno (dal 58 per cento del 2019 al 63 del 2020), ma ci sono due segnali di allarme. Il primo è il divario con gli Stati Uniti ancora ampio (qui le imprese non digitali rappresentano il 27 per cento), soprattutto nei settori dell’edilizia, dei servizi e nell’Internet delle cose. Allo stesso tempo la crisi scatenata dalla pandemia Covid-19 rischia di avere un impatto negativo sugli investimenti, con il pericolo che molte aziende potrebbero non riuscire ad adattarsi alla nuova realtà digitale.
Trend europei
Il primo fattore da rilevare è il tasso più elevato di adozione digitale nell’Europa meridionale rispetto al resto del continente. Una tendenza che emerge in quasi tutti i settori (in particolare nelle infrastrutture, nelle costruzioni e nei servizi) e che il report BEI riconduce a una maggiore implementazione dell’Internet delle cose (oltre il 50 per cento). Al contrario, i dati dell’Europa occidentale e settentrionale mostrano che le aziende hanno adottato tecnologie all’avanguardia come la stampa 3D, l’analisi dei big data e l’intelligenza artificiale.
A livello generale, le aziende europee più grandi presentano tassi di adozione digitale più elevati rispetto a quelle più piccole. Nell’UE solo il 40 per cento delle microimprese (da cinque a nove dipendenti) ha implementato almeno una nuova tecnologia, mentre è già digitale il 75 per cento dei grandi attori industriali, che hanno maggiori capacità di investimento e di implementazione del proprio comparto tecnologico. Anche le piccole imprese (da 10 a 49 dipendenti) faticano, con un tasso di adozione del digitale che si attesta sotto il 50 per cento (rispetto al 60 degli Stati Uniti). La sacca di criticità maggiore è nel settore manifatturiero, dove la dimensione dell’azienda gioca un ruolo decisivo: se quattro grandi imprese manifatturiere su cinque (79 per cento) hanno implementato tecnologie digitali, meno di una su tre (30 per cento) ha fatto lo stesso a livello di micro-imprenditoria.
La connessione digitale-verde
Il rapporto si concentra anche sull’aspetto degli investimenti in ambito green. Relativamente alla tecnologia, emerge che le aziende digitali hanno maggiori probabilità di investire per affrontare le sfide del cambiamento climatico (tra questi, prepararsi per eventi meteorologici estremi e ridurre le emissioni di carbonio). Questo perché a livello industriale sembra essersi innestato uno stretto legame tra sviluppo digitale e attenzione al clima: le aziende con più tecnologie tendono ad avere in programma investimenti consistenti nei prossimi tre anni per quanto riguarda le misure per l’adattamento climatico (oltre il 20 per cento). Due imprese non digitali su cinque non hanno invece investito su questo aspetto né intendono farlo nel prossimo triennio.
Questa tendenza emerge con più forza se si confrontano i dati europei con quelli statunitensi. Sotto tutti i punti di vista (aziende tecnologiche e non), nell’UE si sta configurando una linea di investimenti verdi più marcata ed è ormai prevalente l’idea che le tecnologie digitali siano la chiave per il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal Europeo. Se sviluppate in questa direzione, le tecnologie emergenti potrebbero essere decisive per affrontare le sfide ambientali. A questo proposito, bisogna ricordare lo sviluppo del digitale nei settori della mobilità urbana intelligente, dell’agricoltura di precisione, delle catene di approvvigionamento sostenibili e del monitoraggio ambientale. La Banca Europea per gli Investimenti ha sottolineato che deve essere sbloccato il potenziale di questi strumenti digitali, se l’Unione Europea vuole raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi.
Investimenti pubblici
Per sbloccare il potenziale della digitalizzazione, secondo la BEI saranno decisive le azioni politiche nella lotta alle disparità regionali e nella promozione della coesione sociale. Nonostante le difficoltà economiche lasciate in eredità dalla pandemia Covid-19, giocheranno un ruolo decisivo gli investimenti pubblici (in lieve ripresa prima della pandemia). Secondo i dati, negli ultimi tre anni la maggior parte dei comuni europei ha aumentato gli investimenti nelle infrastrutture e ne prevede ulteriori. Questa strategia potrà rivelarsi decisiva nelle transizioni verde e digitale, integrando e facilitando gli investimenti privati.
La prospettiva è quella di una risposta coordinata dell’Unione Europea, dal momento in cui gli investimenti in una regione o in Paese membro hanno effetti a cascata significativi per le regioni vicine. Si dovrà fare affidamento sia sulle risorse disponibili a livello territoriale, sia a livello europeo (come il Just Transition Fund), ma per la BEI è l’UE l’attore-chiave per la riduzione dell’incertezza politica e la visione di un futuro digitale a zero emissioni di carbonio. Inoltre, sarà compito delle istituzioni europee quello di affrontare la divergenza nei progressi regionali sulla transizione digitale e climatica e le disuguaglianze che questi processi potrebbero approfondire.
A questo proposito, il rapporto BEI ha ricordato che nell’ambiente post-crisi saranno necessari più prodotti di tipo azionario (come il debito di rischio), perché il finanziamento tramite azioni è più adatto ad assorbire le perdite e sostenere le attività di assunzione di rischi, compresa l’innovazione.
L’impatto della pandemia
Nessun discorso sulle prospettive di investimento regge da solo senza considerare la variabile Coronavirus. I dati BEI riportano che a seguito della pandemia gli investimenti nella digitalizzazione sono diventati una priorità urgente. Oltre il 57 per cento delle imprese digitali nell’UE si aspetta che le nuove tecnologie acquisiscano importanza nei prossimi anni, rispetto al 40 per cento delle imprese non digitali. Queste stime forniscono anche un’altra chiave di analisi: l’ampia quota di imprese non digitali che non prendono seriamente la trasformazione digitale potrebbe determinare in futuro un ampio divario digitale tra le imprese. Questo perché la digitalizzazione aumenterà il potere di mercato delle aziende che si trovano già in una situazione privilegiata.
Di qui la necessità dell’UE di stimolare gli investimenti immateriali, come ricerca e sviluppo, software e database, formazione dei dipendenti e capitale organizzativo. Le politiche pubbliche comunitarie dovranno concentrarsi sulle normative che incidono sulla concorrenza, l’ambiente, i dati e il commercio, per migliorare la diffusione dell’innovazione. Secondo il rapporto, la crisi scatenata dal Coronavirus può dimostrarsi un’opportunità unica per sensibilizzare e incoraggiare le aziende non digitali a rivalutare le proprie strategie di gestione, prima che sia troppo tardi. A favorire la transizione digitale c’è un ambiente di mercato funzionante, competitivo e integrato, che con la nuova strategia della Commissione spingerà le imprese a investire di più nella digitalizzazione.
Tra le raccomandazioni della BEI all’Unione, c’è quella di puntare sulla formazione di più leader nei settori digitali e di fare pressione sulle aziende per contribuire a spingere la frontiera tecnologica e a promuovere la transizione verde. Un settore digitale europeo debole significherebbe che aziende e cittadini europei non avranno la proprietà dei propri dati, lasciando la gestione oltre le frontiere comunitarie. Le regole del Mercato unico potranno dare un sostegno decisivo alle nuove imprese, con miglioramenti ancora necessari sul fronte delle normative commerciali e dell’attuazione del Mercato unico digitale nell’Unione Europea.