Bruxelles – Lo aveva annunciato come uno dei primi provvedimenti da adottare una volta insediato alla Casa Bianca. E ora è ufficiale: gli Stati Uniti rientreranno negli Accordi di Parigi sul clima, il più importante accordo internazionale per combattere i cambiamenti climatici e il surriscaldamento globale. Joe Biden, a una manciata di ore dall’insediamento, ha già avviato le pratiche per vanificare il disimpegno di Washington, annunciato dal presidente uscente Trump nel suo primo anno di mandato nel giugno 2017, sostenendo che avrebbe minato l’economia statunitense, e poi notificato a novembre 2019 alle Nazioni Unite. Ci vorrà circa un mese per rendere operativa la decisione che Biden ha notificato all’ONU.
L’accordo di Parigi è un trattato internazionale firmato nel 2015 da 196 parti, Unione Europea compresa. Transizione energetica e lotta ai cambiamenti climatici sono due punti cardine della nuova amministrazione statunitense e le istituzioni europee contano molto sull’alleato ritrovato per lavorare e alzare le ambizioni sul clima. “L’Unione Europea accoglie con favore la decisione del presidente Biden di far rientrare gli Stati Uniti nell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici”, scrivono in una nota congiunta i vicepresidenti Frans Timmermans (con delega al Green Deal) e Josep Borrell. Si dicono “ansiosi di avere gli Stati Uniti di nuovo al nostro fianco nel guidare gli sforzi globali per combattere la crisi climatica”.
Ieri la presidente von der Leyen aveva fatto cenno alla decisione USA nel suo intervento in seduta plenaria del Parlamento, parlandone come di un “nuovo capitolo per la nostra rinnovata cooperazione”.
I am delighted that on day one of this new administration, the US will rejoin the #ParisAgreement.
This is the starting point for our renewed cooperation.
And way more is to come.
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) January 20, 2021
Un anno importante per il clima
È proprio nel quadro dell’accordo di Parigi che Bruxelles lavora per adeguare il suo nuovo target intermedio di riduzione delle emissioni del 55 per cento entro il 2030, per arrivare al 2050 con zero emissioni nette. Nette perché il mondo vive un problema di concentrazione di CO2 nell’atmosfera e per stabilizzarle (o addirittura ridurle) tutte le potenze dovrebbero raggiungere le emissioni nette zero a breve termine.
L’impegno deve essere globale, non basta che sia solo l’Ue a decidere di azzerare le emissioni e sta mettendo pressione a tutti i grandi emettitori del pianeta. Se prima della fine del secolo scorso la maggior parte delle emissioni veniva prodotta da Stati Uniti e Europa, oggi le cose sono cambiate e si assiste a un aumento significativo delle emissioni prodotte in altre parti del mondo, come Asia e soprattutto Cina. Pechino da sola rappresenta circa il 27 per cento delle emissioni globali di gas serra, gli Stati Uniti ne emettono il 14 per cento e l’Unione europea (a 27 Stati) insieme all’India occupano il terzo posto della classifica con circa il 7 per cento delle emissioni mondiali.
Ogni cinque anni è previsto che i firmatari del Patto di Parigi presentino i loro contributi determinati a livello nazionale (NDC), in altre parole i loro piani d’azione per il clima e le strategie da mettere in atto per incontrare gli obiettivi fissati di volta in volta. Avrebbero dovuto farlo entro il 2020, ma la pandemia ha costretto le Nazioni Unite a posticipare la COP26, che si terrà invece quest’anno, a novembre, a Glasgow ospitata Boris Johnson. Proprio il premier britannico ha accolto con entusiasmo la notizia, anche se era ormai cosa nota, scrivendo in un tweet di “non vedere l’ora di lavorare con gli USA nella protezione del pianeta”, menzionando la COP26.
President @JoeBiden rejoining the Paris Agreement is hugely positive news. In the year we host @COP26 in Glasgow, I look forward to working with our US partners to do all we can to safeguard our planet.
— Boris Johnson (@BorisJohnson) January 21, 2021
Sulla scia dell’Europa che ha fissato il raggiungimento della neutralità climatica per il 2050, molte grandi potenze stanno facendo lo stesso. Prima la Cina, poi il Giappone e la Corea del Sud e anche l’India hanno tutti aggiornato i loro obiettivi climatici a lungo termine per mettersi in linea con quelli fissati da Bruxelles. A Glasgow si capirà se questi impegni politici saranno sostenuti anche da piani d’azione in grado di metterli in atto. “Sarà un momento cruciale per aumentare l’ambizione globale”, sostengono dalla Commissione europea, “useremo i prossimi incontri del G7 e del G20 per andare verso questo obiettivo. Siamo convinti che se tutti i paesi si uniscono a una corsa globale verso zero emissioni, l’intero pianeta vincerà”.
Da tenere d’occhio anche un altro vertice internazionale, la COP15 a Kunming sulla biodiversità, da cui si aspettano molte novità. Sulla scia di quanto stabilito a Parigi, l’UE vuole un accordo internazionale anche per porre fine alla perdita di biodiversità. “Ambizioso, globale e in evoluzione”, lo ha definito la presidente Ursula von der Leyen. E avere di nuovo gli Stati Uniti al fianco sul fronte climatico, fa ben sperare che l’Ue riesca nell’intento.