Bruxelles – Il COVID non è un gioco. Lo sanno bene sportivi e quanti sono attivi nel settore dello sport. La pandemia non risparmiato neppure le discipline sportive. Le principali organizzazioni professionistiche nazionali e internazionali sono riuscite a tenere vive le competizioni, ma questo non vuol dire che tutto vada per il meglio. I numeri, al contrario suggeriscono il contrario. Il Parlamento europeo, tramite il suo centro studi e ricerche, prova a fare ordine. Risultato: il Coronavirus ha vinto, lo sport ha perso.
Il settore ha perso soldi, come tutti. Le ultime stime disponbili indicano che le misure di contenimento della pandemia hanno prodotto un doppio impatto negativo sullo sport all’interno del territorio dell’UE. Da una parte una contrazione del 15% del PIL legato allo sport (circa 47 milioni di euro), a cui si aggiunge una perdita per l’indotto pari al 16% di lavori collegati allo sport (-845mila occupati). Il 45% delle aziende attive nel comparto dell’industria di prodotti e beni sportivi dichiara una perdita di fatturato compresa tra il 50% e il 90%. Un’azienda su due ha in sostanza visto, nella migliore delle ipotesi, un dimezzamento del proprio giro d’affari.
Con la chiusura di palestre, piscine e centri sportivi la portata delle persone colpite va oltre i professionisti dello sport, per includere anche gli impiegati nei servizi allo sport come viaggi, turismo, infrastrutture, trasporti, ristorazione e trasmissione dei media. Mettendo insieme tutto questo, le dimensioni dell’impatto economico per lo sport a dodici stelle raggiungerebbero perdite complessive per 79 milioni di euro e 1,2 milioni di posti di lavoro.
A rischio le giovani promesse
Oltre al danno economico immediato c’è la ricaduta atletica per il futuro delle discipline sportive. Che si tratti di calcio, pallavolo, pallacanestro o qualsivoglia disciplina, lo stop ad allenamenti crea problemi per i più giovani. Vi è un crescente preoccupazione circa comportamenti e abitudini dei campioni in erba una volta che non c’è più il team tecnico a seguirli. Si temono in particolare disturbi alimentari. Mangiare male, con diete squilibrate, soprattutto per organismi in fase di crescita e sviluppo, fa male. Gli esperti mettono in guardia “sull’elevato numero” di giovani atleti alle prese con un’alimentazione disordinata innescati dalla sperimentazione di nuovi modi di mangiare durante la pandemia.
Ricchi e poveri, a rimetterci sono sempre i piccoli
La pandemia aggrava il divario tra grandi e piccoli. Anche nello sport il divario tra chi può permettersi di più e chi fa fatica a tirare avanti si fa sentire, e il Coronavirus lo ricorda. Sempre secondo il documento di lavoro dell’Europarlamento, si ritiene “probabile” che i club più grandi nei principali sport (come il calcio professionistico) abbiano le risorse finanziarie per far fronte a una temporanea perdita di reddito. “Lo stesso non vale per i campionati di livello inferiore o per gli sport meno popolari, la cui mera esistenza può essere minacciata“.
Le ricadute del Covid-19 sugli sport semi-professionali e di base “potrebbero essere devastanti” per la natura stessa del tessuto sportivo. Lo sport europeo si basa in gran parte su un microcosmo di piccoli club e associazioni che svolgono un ruolo chiave nel consentire ai cittadini di prendere parte a un’attività fisica a prezzi accessibili su base giornaliera. Queste entità, essendo senza scopo di lucro per natura, si affidano ad allenatori e volontari autonomi, il che “li espone a un rischio maggiore di chiusura” a causa della crisi e, in ultima analisi, mette in pericolo il futuro di tutti gli sport di base in Europa visto che molti campioni nascono in queste realtà.
Crisi nera per le donne, il calcio femminile paga la ‘discriminazione’ pre-esistente
Il Coronavirus è particolarmente inclemente con le donne, e lo sport lo conferma una volta di più. La Federazione internazionale delle associazioni dei calciatori professionisti (FIFPro) ha detto in modo chiaro che la pandemia potrebbe rappresentare “una minaccia quasi esistenziale per il gioco delle donne”. Si rischia il colpo di grazia ad un mercato indietro in termini di diritti e e riconoscimenti. A differenza dei colleghi uomini, ricorda il Parlamento europeo, a livello femminile si hanno “leghe professionistiche meno consolidate, salari bassi, portata più ristretta di opportunità, accordi di sponsorizzazione irregolari e minori investimenti aziendali”. Questo rende le calciatrici più vulnerabili dei calciatori.
Lo studio dell’Eurocamera avverte: la mancanza di contratti scritti, la durata a breve termine dei contratti di lavoro, l’assenza di assicurazione sanitaria e copertura medica, nonché di protezione e diritti di base dei lavoratori, “espongono molte giocatrici a forte rischio di perdere i propri mezzi di sussistenza”. Anche perché solo una minima parte delle atlete in attività risulta ‘di serie A’. Solo il 18% delle giocatrici sono considerate professioniste secondo il regolamento FIFA, il che significa che hanno un contratto scritto e guadagnano di più dalla loro attività calcistica rispetto alle spese sostenute. Il restante 82% ha lo status di dilettante.