Bruxelles – C’è un filo che in questi giorni lega l’Italia ai Paesi Bassi e all’Estonia e si chiama crisi di governo. Dopo le tensioni di Palazzo Chigi e le dimissioni del premier estone, la crisi politica ha investito in pieno il governo olandese del primo ministro Mark Rutte, portando alle dimissioni dell’intero gabinetto. Rutte era al suo terzo governo dopo 11 anni di presenza sulla scena politica olandese e a capo di una coalizione di centrodestra formata da quattro partiti (Vvd, Cda, D66 e i Cristiani Uniti).
Secondo media locali la riunione del Consiglio dei ministri è stata breve e il gabinetto ha deciso di presentare formalmente le sue dimissioni al re. La caduta del terzo governo a guida Rutte non porterà automaticamente ad elezioni anticipate: la naturale scadenza per la legislatura è fissata tra poco e per ora le elezioni legislative per rinnovare il Parlamento rimangono in programma per il prossimo 17 marzo. Rutte rimane a capo di un governo provvisorio e rimarrà in carica per il disbrigo degli affari correnti, quindi sia per la crisi legata al Coronavirus ma anche per i termini della ripresa economica.
La crisi politica
La crisi politica di oggi ha radici lontane: è scoppiata dopo uno scandalo che ha coinvolto i funzionari del fisco che a partire dal 2012 hanno ingiustamente accusato di frode circa 20mila famiglie in merito ad alcuni sussidi mensili per l’infanzia che hanno ricevuto per la crescita dei figli. Le accuse hanno portato molte di queste famiglie a indebitarsi con lo Stato per rimborsare le indennità che avevano ricevuto e solo diversi anni un’indagine e un rapporto parlamentare hanno parlato di “ingiustizia senza precedenti” denunciando che le famiglie in questione erano state perseguite ingiustamente per un errore burocratico.
La pressione politica sull’esecutivo è aumentata ieri dopo le dimissioni di Lodewijk Asscher, leader del partito laburista all’opposizione che però era stato ministro degli Affari sociali e viceministro di Rutte dal 2012 al 2017. Oggi il gabinetto di Rutte si è riunito per decidere le dimissioni, anche se secondo il Guardian Rutte ieri si era detto contrario allo scioglimento dell’attuale coalizione, sostenendo che i Paesi Bassi hanno bisogno di stabilità in mezzo alla pandemia di Coronavirus.
Quali rischi per il Recovery Fund
Non è solo la crisi sanitaria a necessitare di governi stabili, ma anche le sue ripercussioni economiche. Le dimissioni del governo di Rutte non dovrebbero però far slittare ancora la ratifica del fondo di ripresa in Parlamento dei Paesi Bassi, dove il voto è previsto nelle prossime settimane.
La prima parte del 2021 – che a Bruxelles coincide con la presidenza del Portogallo – dovrà essere all’insegna dell’attuazione dei piani di ripresa europea. Necessità e urgenza di attuare l’accordo storico sul Recovery Fund e far partire la ripresa dalla crisi. Urgenza che passa però dalla necessità di compiere ancora qualche passaggio tecnico per chiudere il cerchio. Il primo ostacolo è legato al fatto che ciascun Paese deve presentare entro aprile la versione finale del piano di ripresa e resilienza, superare il vaglio di Bruxelles e sbloccare i finanziamenti.
Ma rimane in sospeso soprattutto l’urgenza di rendere disponibili le risorse del Next Generation Eu, lo strumento di ripresa da 750 miliardi di euro tra prestiti e sovvenzioni: perché diventi operativo, la Commissione europea deve avere la possibilità legale di contrarre prestiti sui mercati finanziari e di distribuire gli importi dove necessario. A tal fine, gli Stati membri dell’UE devono ancora ratificare la decisione sulle risorse proprie seguendo i propri requisiti costituzionali. Per il momento si è mosso solo il Portogallo, che in quanto presidente di turno ha esortato anche gli altri governi ad accelerare la ratifica.