Bruxelles – Il destino della Germania e dell’Europa passa tutto da qui, dal 33esimo congresso della CDU. L’Unione Cristiano-Democratica di Germania, partito di governo da quindici anni ed egemonizzato dalla figura della cancelliera Angela Merkel dal 2000, è chiamato a eleggere il nuovo presidente. Tre sono i candidati che da oggi a domani sera si sfideranno per succedere alla dimissionaria Annegret Kramp-Karrenbauer (che nel 2018 aveva succeduto proprio Merkel alla guida del partito): l’ex-capogruppo della CDU, Friedrich Merz, il ministro presidente del Land della Renania Settentrionale-Vestfalia, Armin Laschet, e il segretario della commissione Affari esteri del Bundestag, Norbert Röttgen.
Tre candidati dalle visioni molto diverse, che cercheranno di imprimere linee politiche ben definite non solo sul grande partito centrista, ma anche sull’indirizzo del governo dell’intero Paese, in vista delle elezioni del 26 settembre. E, di riflesso, di influenzare l’orientamento futuro del gruppo del Partito Popolare Europeo. La CDU rappresenta la delegazione più compatta e numerosa (23 eurodeputati) all’interno della maggioranza che sostiene la commissione di Ursula von der Leyen: pensare che il risultato di questi due giorni non avrà un impatto sui prossimi tre anni di legislatura europea sarebbe alquanto ingenuo.
L’era post-Merkel
Il 33esimo congresso rappresenta un vero e proprio spartiacque per la storia della CDU. Il candidato eletto sarà probabilmente il primo che si smarcherà dall’influenza politica della cancelliera Merkel. Già nel 2018 la discepola di Helmut Kohl aveva lasciato il passo alla guida del partito e durante il 31esimo congresso era stata eletta Annegret Kramp-Karrenbauer, in perfetta linea di continuità. Tuttavia, dopo un solo anno e mezzo (febbraio 2020) la neo-presidente Kramp-Karrenbauer era stata costretta alle dimissioni, dopo l’elezione di Thomas Kemmerich a ministro presidente della Turingia con l’appoggio dell’estrema destra di Alternative für Deutschland.
La linea nazionale della CDU finora ha sempre escluso la possibilità di alleanza con AfD e nell’acceso dibattito interno al partito hanno prevalso le pressioni della cancelliera per le dimissioni della sua delfina e nuove elezioni per la presidenza. La differenza oggi, rispetto al congresso dell’ottobre 2018, è che a settembre si terranno anche le elezioni federali. Merkel ha già annunciato che non si ricandiderà: questo significa che chi sarà eletto domani sera avrà la possibilità di impostare una linea autonoma rispetto all’attuale cancelliera, oltre a conquistare la pole position a candidato per la CDU alle elezioni federali.
Il congresso di Berlino era inizialmente programmato ad aprile dello scorso anno. Rimandato al 4 dicembre a causa della pandemia Covid-19, è stato infine posticipato al 15-16 gennaio. Come in tutta Europa, la pandemia è ancora nella sua fase più acuta e per questo motivo si deciso di optare per un congresso virtuale, sul modello di quello tenuto dai Verdi a metà novembre. Sono 1.001 i delegati delle sezioni regionali e locali chiamati a votare il nuovo leader del partito e servirà la maggioranza assoluta, cioè 501 voti. I risultati ufficiali saranno annunciati entro sabato prossimo (22 gennaio).
Patriottici, centristi e pragmatici
Friedrich Merz è l’esponente dell’ala più conservatrice del partito, quella che ha sempre criticato sia la politica della “porta aperta” della cancelliera Merkel verso i rifugiati, sia l’allineamento del partito su posizioni centriste, alienando gli elettori conservatori (di cui una parte è confluita in AfD). L’avvocato ed ex-membro del Parlamento UE dal 1989 al 1994 ha promesso di fare della CDU la “patria politica” di persone che condividono valori conservatori e opinioni moderate, ma patriottiche. Merz ha comunque escluso un’intesa con l’estrema destra di Alternative für Deutschland in vista delle elezioni federali.
Armin Laschet l’esponente dell’ala moderata e liberale che più si può identificare con la linea centrista della cancelliera Merkel. Il ministro presidente della Renania Settentrionale-Vestfalia può far valere la sua esperienza di dirigente del Land più popoloso di Germania e sulla sua influenza all’interno del partito. Laschet è l’uomo della continuità: membro della CDU dal 1979, legislatore federale dal 1994 al 1998, eurodeputato dal 1999 al 2005, è anche conosciuto per i suoi buoni rapporti con la comunità turca e per la capacità di gestire la politica migratoria (ha servito come ministro per l’integrazione del Land dal 2005 al 2010).
Norbert Röttgen è invece sostenitore di un’impostazione più pragmatica che ideologica, voce di quella parte di CDU che vuole modernizzare la struttura del partito e concentrarsi maggiormente sul progresso del Paese. L’ex-ministro dell’Energia dal 2009 al 2012 e presidente della commissione per gli Affari esteri del Parlamento federale dal 2014 sostiene che la Germania dovrebbe svolgere un ruolo più incisivo sulla scena globale: ha promesso di adottare misure più efficaci per combattere il cambiamento climatico e di accentuare il peso dell’innovazione digitale per trasformare l’economia.
In vista delle elezioni di settembre, con Merz a capo di una CDU più conservatrice, potrebbe essere complicato imbastire una coalizione con i Verdi (virtualmente il secondo partito in Germania). Allo stesso tempo, con Laschet o Röttgen leader del partito, potrebbero essere gli attuali partner della coalizione di governo, i socialdemocratici, a staccarsi dalla Große Koalition. L’insegnamento è arrivato negli ultimi anni: con le politiche liberali e centriste della cancelliera Merkel si è verificato un crollo del sostegno all’SPD.
L’impatto sull’UE
I fondamenti della politica europea non sono in discussione: sono tutti e tre candidati filoeuropei e transatlantisti. Ma le similitudini sul fronte UE potrebbero finire qui. La differenza più grande è quella che riguarda la politica fiscale. Merz è il più scettico sul Recovery Fund, definendo la raccolta di fondi sui mercati finanziari per distribuirli sotto forma di sovvenzioni agli Stati membri come “un’idea che va contro i limiti dei trattati UE”. Merz è molto vicino alle posizioni dei Paesi frugali (Austria, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Finlandia) e agli elettori ha assicurato che la zona euro non diventerà mai un sistema in cui le nazioni ricche come la Germania salvano i loro vicini più poveri: “Mi sento vincolato da questa promessa”, ha ripetuto in questi giorni l’ex-presidente di BlackRock Germania. Röttgen ha sottolineato che servono aiuto e solidarietà, ma ha rifiutato l’idea di condivisione dei vecchi debiti. Laschet ha invece chiesto dal 2011 una discussione aperta sull’Unione fiscale europea.
Sulla risposta ai cambiamenti climatici – una delle priorità della commissione von der Leyen – Merz ha attirato l’attenzione commentando che “la protezione del clima non dovrebbe andare a scapito dell’economia”. Nei dieci punti del piano di Laschet, la politica climatica compare sì, ma non è tra le questioni primarie, come hanno fatto notare i Verdi. Röttgen è il candidato più sensibile al tema ambientale, che compare tra i temi su cui la Germania dovrebbe assumere la guida globale, ma i Fridays for Future tedeschi hanno sottolineato che “nessuno dei candidati ha escogitato un piano che consentirà al partito di mantenere i suoi impegni internazionali sul clima”.
Riguardo alla politica estera, Röttgen ha espresso una posizione decisa in senso filo-atlantico e aggressiva nei confronti della Cina: in Germania ha condotto una campagna per la completa esclusione di Huawei come fornitore per il mercato del 5G. Con l’elezione del presidente democratico Joe Biden negli Stati Uniti e la nuova agenda transatlantica della Commissione UE, la posizione di Röttgen potrebbe essere la più allineata: fino al 2019 è stato a capo di Atlantikbrücke, associazione privata che promuove la collaborazione economica, finanziaria, educativa e politico-militare tra Stati Uniti e Germania. Ma perché l’UE non sia “polverizzata tra Stati Uniti e Cina”, è necessario dimostrare “che siamo disposti a fare qualcosa da soli, come l’accordo commerciale con il Canada“, ha incalzato. Anche Merz sostiene un coordinamento più stretto con gli USA, ma chiede che in politica estera l’unanimità sia sostituita dal voto a maggioranza qualificata, per “conquistare un ruolo più forte nel mondo”.
Sul fronte della politica interna, Merz ha più volte espresso riserve su ulteriori passi in avanti verso l’integrazione europea: “Sono scettico sul trasferimento di più poteri all’Unione Europea”, ha commentato. “Non voglio vedere un’UE in cui la nostra identità si dissolva e siamo tutti solo europei”. Merz si contrappone alla linea di continuità di Laschet con il percorso della cancelliera Merkel: questo potrebbe diventare ancora più evidente se dovesse assumere il ruolo di cancelliere a settembre (probabile in caso di conquista della leadership della CDU).
Il cambiamento al vertice porterà in qualsiasi caso un effetto a cascata su tutta l’Unione Europea. Merkel ha guadagnato in questi 15 anni la reputazione di risolutrice delle crisi sul suolo comunitario, riconfermandola anche con la presidenza tedesca dell’UE durante la pandemia di Coronavirus. Ha dimostrato caratteristiche di moderazione, mediazione e risoluzione delle controversie tra governi europei. Il futuro leader della CDU, chiunque dei tre sarà, marcherà un nuovo stile di leadership tedesca in Europa, più o meno in continuità con il recente passato. Un pezzo del destino della Germania, e dell’Unione Europea, si gioca al congresso di Berlino. In modalità virtuale: altro segno dei tempi che cambiano.