Bruxelles – Prima di rimpatriare un minore non accompagnato nel suo Paese di origine, uno Stato membro deve accertarsi che nella destinazione di ritorno per il minore ci sia un’accoglienza “adeguata”. Altrimenti, niente rimpatrio. La Corte di giustizia dell’UE richiama i governi alle loro responsabilità in tema di immigrazione e gestione dei flussi, nella sentenza che stabilisce una volta per tutte, in modo chiaro, come comportarsi con giovani e giovanissimi extracomunatori.
I giudici di Lussemburgo ricordano che ai sensi della ‘direttiva rimpatri’, quando autorità nazionali devono decidere per il ritorno coatto di un richiedente asilo minorenne, queste “devono, in ogni fase della procedura, prendere necessariamente in considerazione l’interesse superiore del bambino”. Non ci si può sottrarre ai propri obblighi, con decisioni sommarie e sbrigative.
In forza di questo principio dell’interesse superiore del minore, chiarisce la Corte UE, se tra il momento della decisione di rimpatrio e il momento di esecuzione la situazione nel Paese extra-UE si deteriora in modo da non garantire più un’adeguata accoglienza del minore oggetto di ritorno, “lo Stato membro interessato non potrebbe eseguire la decisione di rimpatrio”. Chi dovesse farlo violerebbe le regole, e dunque sarebbe passibile di procedura d’infrazione.
Si chiarisce inoltre che un minore è sempre un minore. Di fronte a legislazioni nazionali come ad esempio quella dei Paesi Bassi, che distingue tra minori con meno di 15 anni e quelli tra i 15 e 18 anni di età, si opera un chiarimento giuridico. “Uno Stato membro non può operare una distinzione tra i minori non accompagnati in base al solo criterio della loro età al fine di verificare l’esistenza di tale accoglienza”. Dunque le ragioni del minore prevalgono su quelle del governo UE responsabile per la gestione dei flussi.
“La sentenza riafferma un principio giuridico inviolabile per il quale l’intergruppo del Parlamento Europeo sui diritti dei minori da me presieduto si è battuto e continua a battersi fin dalla scorsa legislatura”. Caterina Chinnici, eurodeputata del gruppo S&D, co-fondatrice e co-presidente dell’intergruppo sui diritti dei minori al Parlamento Europeo commenta la decisione della Corte, aggiungendo che “proprio grazie al lavoro nell’intergruppo, il no al rimpatrio di minori migranti in assenza di garanzie sulle condizioni di accoglienza nel paese di destinazione è stato inserito, attraverso un emendamento, nel testo di revisione della direttiva europea sui rimpatri che il Parlamento ha già approvato e che attualmente è al centro dei negoziati interistituzionali con il Consiglio dell’UE e la Commissione. L’auspicio è che la norma a tutela di questo principio, applicato nella sentenza della Corte di Giustizia, sia pienamente salvaguardato nel testo finale”.
“La Corte ha stabilito – aggiunge Caterina Chinnici – che non solo non si possa procedere al rimpatrio di un minore senza garanzie sul fatto che troverà accoglienza adeguata ma che l’adeguatezza dell’accoglienza non possa essere considerata soltanto in relazione all’età, perché ciò che va valutato e soddisfatto sotto ogni aspetto è il superiore interesse del minore, un principio sancito dalle carte internazionali e purtroppo ancora in molti casi non rispettato”.