Bruxelles – Uno schiaffo e una carezza per l’Italia, che giunge sotto la lente della cronaca giudiziaria europea per due sentenze che la riguardano.
La prima attiene a una questione emersa in Friuli Venezia Giulia. La Commissione aveva intentato una causa contro l’Italia per una presunto regime fiscale agevolato non consentito legato alla riduzione delle accise sui prezzi della benzina per i residenti della regione. In effetti, grazie a una decisione del Consiglio UE, per 10 anni, fino al 2006, le autorità europee avevano autorizzato l’Italia a ridurre l’accisa pagata dai friulani sul carburante, tentati fino ad allora dal recarsi in Slovenia per risparmiare.
Archiviato il periodo di agevolazione, tuttavia, nel 2010 il Consiglio regionale del Friuli ha deciso di mantenere lo sconto sul prezzo alla pompa dei carburanti rimborsando i gestori delle stazioni di servizio per la parte di prezzo non pagata dai residenti. Per la Commissione si sarebbe trattato di un rimborso strettamente legato all’aliquota ordinaria delle accise reintrodotta dal 2006. Da qui il ricorso dell’esecutivo europeo alla Corte di Giustizia dell’UE (CGUE) per “violazione della direttiva sulla tassazione dell’energia” (direttiva che risale al 2003).
Nella causa l’Italia si è difesa giustificando il rimborso per il “costo di produzione” che i gestori di carburanti erano costretti a pagare “in una regione caratterizzata dalla mancanza di infrastrutture”. In effetti la Corte ha affermato che è impossibile condannare l’Italia, in virtù dell’impossibilità di individuare un legame tra la riduzione del prezzo della benzina favorita dopo il 2010 al rialzo dell’accisa. Non si può quindi parlare di un “rimborso accise”. Se non ha proprio dato ragione all’Italia, così facendo la Corte ha disinnescato l’accusa della Commissione.
Nella seconda sentenza la Corte non ha potuto fare a meno di richiamare l’Italia a correggere il suo comportamento rispetto al recepimento della direttiva Euratom del 2013 che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti.
Nel 2019 la Commissione aveva deferito l’Italia alla Corte per essere venuta meno agli obblighi del diritto dell’Unione e nel caso di specie per non aver adottato disposizioni normative, regolamentari e amministrative contenute nel testo.
La direttiva aggiorna il trattato Euratom del 1959. L’Italia aveva giustificato il suo non essersi ancora conformata alle nuove disposizioni in virtù dell’interruzione dei lavori parlamentari dovuta allo scioglimento delle Camere. Una giustificazione che la Corte non ha ritenuto valida. Ora, come previsto dall’iter delle procedure di infrazione, l’Italia è tenuta a provvedere all’introduzione delle nuove norme senza indugio.