Bruxelles – Siamo nella fase di riscaldamento, la vera partita deve ancora cominciare. Si può riassumere così la prima settimana dall’entrata in vigore dell’accordo commerciale post-Brexit tra Unione Europea e Regno Unito, il primo gennaio 2021. Non si può parlare di grossi problemi alle frontiere (ripristinate dal deal, ma senza l’applicazione di dazi), ma questo è anche l’effetto di un flusso di merci molto ridotto rispetto alla media, che ha alleggerito il carico di lavoro extra per gli operatori doganali. Dinamiche più complesse si sono invece dimostrate sul fronte della pesca e del commercio.
La Manica
Se non si sono registrati ingorghi sulla Manica – né all’ingresso dei porti di Dover e Calais né all’Eurotunnel – va rilevato che la traversata in traghetto in ciascuna direzione è stata effettuata da circa duemila camion al giorno, rispetto a una normale cifra giornaliera compresa tra i cinquemila e i seimila. Sulla sponda inglese, in particolare, il traffico è stato particolarmente basso e il nuovo sistema di frontiera dovrà affrontare test più severi man mano che il numero di autotrasportatori tornerà ad attestarsi su livelli standard.
La questione principale rimane l’introduzione dei controlli doganali, uniti ai test Covid-19 per chiunque debba spostarsi da una parte all’altra del canale. Ieri (giovedì 7 gennaio) la Road Haulage Association (associazione di categoria degli autotrasportatori britannici) ha fatto sapere che circa un camion su cinque è stato respinto per assenza di corrette pratiche doganali o perché il conducente non aveva con sé il risultato del test Covid-19 necessario.
C’è mancanza di preparazione da parte delle imprese, che dovrebbe attenuarsi nelle prossime settimane quando ‘l’effetto novità’ sarà passato. Ma la preoccupazione maggiore tra gli operatori doganali è che allo stesso tempo il flusso commerciale aumenti più rapidamente della capacità di gestire i controlli. In un intervento alla Camera di Commercio britannica, la consulente per il commercio internazionale Anna Jerzewska ha sottolineato che questo effetto combinato di “mancanza di reattività e capacità” si rivelerà in tutta la sua gravità “per i prossimi due mesi, almeno fino a marzo“. Non sarebbe colpa né delle aziende aziende né degli stessi agenti di frontiera (“nessuno poteva essere verosimilmente pronto”), dal momento in cui “guide e documenti sono stati pubblicati un solo giorno lavorativo prima della fine del periodo di transizione”, ha accusato Jerzewska.
Porti e commercio
Nel secondo porto più grande del Regno Unito, quello di Holyhead (Galles), la situazione è più complessa. Il traffico da e per l’Irlanda è praticamente fermo, per le caratteristiche stesse del commercio che transita da Holyhead: per decenni i camion che arrivavano dall’Europa continentale ed erano diretti in Irlanda utilizzavano il Regno Unito come un ponte di terra, consegnando le merci in Irlanda e raccogliendo merci britanniche sulla via del ritorno. A causa delle incertezze sulla documentazione e sulla possibilità di essere fermati alla dogana, da parte di molti operatori è stata preferita la soluzione diretta Francia-Irlanda (il traffico è raddoppiato), nonostante sia più economico e veloce per i camionisti viaggiare via-UK. In questo modo è stato penalizzato il secondo porto britannico, almeno fino a quando la situazione post-Brexit non si sarà chiarita.
Sul fronte del commercio tra Unione Europea e Regno Unito, stanno proseguendo i problemi nel commercio online da parte di rivenditori europei specializzati, che da lunedì hanno sospeso momentaneamente le consegne agli indirizzi britannici. Ma anche dall’altra parte della Manica tra i commercianti serpeggia la preoccupazione: la Federation of Small Businesses ha reso noto che diverse aziende britanniche hanno temporaneamente sospeso le importazioni e le esportazioni dell’UE per capire quale sarà l’evoluzione della situazione burocratica. Tra i grandi attori industriali, invece, la casa automobilistica giapponese Honda ha sospeso la produzione nella sua fabbrica di Swindon (sud-ovest dell’Inghilterra), accusando ritardi nella fornitura globale in ingresso nel Regno Unito.
La pesca
La questione della pesca aveva tenuto in stallo fino all’ultimo l’accordo commerciale UE-Regno Unito. Nonostante una lunga trattativa che a molti osservatori era sembrata quasi ingiustificata, nella prima settimana dalla fine del periodo di transizione si sono mostrati comunque i primi problemi anche in questo settore. Come ha rivelato Reuters, la maggioranza dei pescatori scozzesi ha interrotto le esportazioni verso i mercati UE: la nuova burocrazia ha messo in ginocchio il sistema che faceva arrivare prodotti freschi dalla Scozia nei negozi francesi un solo giorno dopo dalla pesca. Tra certificati sanitari, dichiarazioni doganali e altri documenti che aggiungono giorni ai tempi di consegna e centinaia di sterline al costo di ogni carico, gli esportatori al momento non hanno più convenienza a proseguire questo commercio.
Anche in Irlanda del Nord si sono mostrate criticità. Dal primo gennaio sono state applicate restrizioni alle navi di Belfast che scaricano le proprie catture e operano nei porti nella Repubblica d’Irlanda. I pescatori nord-irlandesi parlano del ripristino di un “confine duro sull’isola”: i pescherecci possono fare riferimento solo a due porti irlandesi – quello di Killybegs a Donegal e Castletownbere a Cork – e questo sta creando congestioni e problemi ai pescatori che svolgono la propria attività quotidiana lontano da questi due porti. Il Dipartimento dell’Agricoltura, dell’ambiente e degli affari rurali (DAERA) ha confermato che “le barche con licenza britannica non possono accedere ai servizi in nessun altro porto della Repubblica” e che “ogni accesso ai porti meridionali è una violazione della legge“.