Bruxelles – L’obiettivo era stato confermato a settembre 2020, in occasione dell’apertura del decennio digitale europeo. Entro la fine dell’anno, secondo i piani della Commissione europea, l’UE avrebbe dovuto cominciare a intavolare la discussione su una legge per i servizi digitali e su una legge per il mercato digitale per entrare nella partita delle regole di internet e giocarla nel nome dei diritti dei cittadini europei e della libera concorrenza.
Promessa mantenuta. Due proposte di legge sono state presentate in conferenza stampa martedì 15 dicembre 2020, che potranno diventare immediatamente applicabili in tutta l’UE qualora avvallate da Consiglio e Parlamento. Diffusamente nel mondo dell’informazione si è parlato del Digital Services Act (DSA) e del Digital Market Act (DMA) come due strumenti per scalfire lo strapotere delle grandi piattaforme della rete, una questione che lo stesso commissario al mercato interno Thierry Breton ha voluto mettere in chiaro. “Non punteremo mai il dito contro una determinata società accusandola di essere troppo grande, perché in Europa rispettiamo tutte le società”, ha detto il membro francese del collegio. “Riteniamo, però, che più grande sia un’azienda e più responsabilità debba avere per attenersi a quello che per noi è importante. Queste due leggi vanno a favore dei cittadini europei, delle aziende, dell’innovazione e della concorrenza leale. Non parliamo di due leggi architettate contro qualcuno”.
Quel che è chiaro, punti di vista a parte, è che con il DSA e il DMA la Commissione vuole metterci del suo nell’influire sul comportamento e sulle scelte delle società che forniscono importanti servizi online ad altre imprese, visto il ruolo che esse esercitano per l’economia europea, nonché per l’interazione sociale e per l’informazione dei cittadini europei. Eunews ha analizzato nel dettaglio il testo delle due proposte di regolamento per sviscerare i punti principali.
Il Digital Services Act: maggiori quote di trasparenza e responsabilità per le piattaforme contro i contenuti illegali.
I soggetti di riferimento del primo disegno di legge, il Digital Services Act, sono le società che forniscono servizi di intermediazione nell’ambito della trasmissione e della memorizzazione delle informazioni (nel linguaggio tecnico-giuridico si parla di sevizi di mere conduit, di caching e di hosting). Queste piattaforme forniscono i loro servizi in maniera neutrale e non sono chiamate a rispondere per le azioni contro la legge commesse dai loro utenti. Tuttavia, le autorità possono prevedere degli specifici compiti per loro, come la Commissione sta cercando di fare con il DSA. Relativamente a questa categoria di soggetti, che spazia dalle società di telecomunicazioni che forniscono accesso alla rete alle piattaforme social, la Commissione punta a stabilire un regime di responsabilità chiaro per la gestione dei contenuti illegali. Oltre a essere soggetti a ordini e a richieste di informazioni da parte delle autorità giudiziarie e amministrative degli Stati membri, in virtù di queste nuove disposizioni le società che gestiscono tali servizi di intermediazione potrebbero essere formalmente obbligate a rendere note le loro politiche di moderazione dei contenuti e pubblicare una volta l’anno una relazione sulle operazioni di moderazione. La gran parte delle norme del progetto di regolamento si applicano alle grandi piattaforme, motivo per il quale negli scorsi giorni sul quotidiano parigino “L’Opinion” il vignettista Patrick Lamassoure (alias KAK) ha pubblicato una caricatura particolarmente eloquente nella quale il commissario Breton, affiancato dalla commissaria per la concorrenza Vestager, regge un forcone sul quale sono infilzati i loghi di Apple, Google e Facebook.
https://twitter.com/MonsieurKak/status/1338790651798953985?s=20
Contenuti illegali. Quali?
Nella sintesi del testo normativo la Commissione propone un concetto vasto di “contenuto illegale”, associato a informazioni, prodotti, servizi o attività che sono considerati illegali dalle leggi europee (e dalle leggi nazionali coerenti con esse). La bozza ne cita esplicitamente alcuni: incitamento all’odio, abusi sessuali sui minori, pubblicazione non consensuale di foto private, uso non autorizzato di materiali coperti da diritti d’autore.
Una chiamata alle responsabilità per le piattaforme online
Grava in capo alle piattaforme che si occupano di memorizzazione delle informazioni fornite dagli utenti l’obbligo di consentire a tutti gli utenti di segnalare la presenza di un contenuto considerato illegale mediante una procedura facilmente accessibile e di darne celere riscontro fornendo informazioni anche sulla possibilità di ricorso. La rimozione di un contenuto illegale deve essere seguita però da una spiegazione precisa e facilmente comprensibile della decisione indirizzata all’utente che lo ha pubblicato e deve comparire, priva dei riferimenti personali, in un database controllato direttamente dalla Commissione. Per adempiere a tale procedura, definita di notice and action, le piattaforme potranno servirsi anche di segnalatori attendibili (trusted flaggers), operatori deputati alla caccia di contenuti illegali il cui mandato è conferito dal Coordinatore nazionale dei servizi digitali.
Alle piattaforme online gli obblighi maggiori
Per le piattaforme online di servizi hosting che si occupano della divulgazione in pubblico
delle informazioni ricevute dagli utenti (come fanno quelle di social networking), salvo quando si tratta di micro e piccole imprese, vige l’obbligo di predisporre un meccanismo di contestazione dei provvedimenti in tema di rimozione o di oscuramento del contenuto illegale e di attenersi alla decisione adottata dalla procedura in via extragiudiziale istituita in ambito nazionale. Ci sono anche nuove norme sulla tracciabilità delle imprese che vendono online: potrebbe essere vietato l’accesso alla piattaforma per le ditte che non comunicano informazioni essenziali sulla loro attività.
La stretta sulle very large platforms
Ulteriori oneri incombono per le piattaforme che superano i 45 milioni di utenti al mese (o, nell’eventualità di un futuro incremento del 5 popolazione europea per le piattaforme il cui numero degli utenti superi il 10 per cento della popolazione europea). Dovranno occuparsi di valutare i rischi esistenti per la pubblicazione di contenuti illegali, per l’esercizio dei diritti fondamentali e per possibili falle nella protezione della rete (risk assessment) e saranno continuamente soggetti a ispezioni effettuate da enti indipendenti che si occuperanno di verificare il rispetto delle norme del regolamento. Sulle piattaforme molto grandi incombe anche l’obbligo di rendere noti i parametri che determinano il filtraggio dei contenuti, rendendo disponibile in qualsiasi momento e in maniera facilmente accessibile le funzionalità che permettano agli utenti di modificare le preferenze rispetto alle informazioni che ricevono (un tentativo di personalizzare il funzionamento dell’algoritmo). Ma c’è dell’altro: i giganti della rete potrebbero essere chiamati a redigere dei codici di condotta e protocolli d’emergenza da applicare in circostanze di grave crisi per la pubblica sicurezza e per la sanità pubblica da sottoporre direttamente al vaglio della Commissione.
Nella lente dei Coordinatori nazionali dei servizi digitali
La bozza di regolamento prevede l’istituzione di una nuova figura che a livello nazionale sovrintenderà il rispetto delle norme entrate in vigore. Il Coordinatore dei servizi digitali esisterà in ciascuno Stato membro e sarà nella facoltà di richiedere informazioni e svolgere ispezioni per verificare che le piattaforme online si attengano alle nuove norme, ma anche di costringerle ad adottare misure correttive e imporre sanzioni fino al 6 per cento del loro fatturato annuo. I Coordinatori nazionali potranno cooperare per svolgere investigazioni congiunte e per segnalare tra loro possibili infrazioni commesse nell’ambito delle altre giurisdizioni nazionali.
Tutti i Coordinatori saranno riuniti a livello europeo in un Consiglio (Board) che sarà incaricato di supportare le autorità nazionali nel valutare il rispetto del regolamento da parte delle grandi piattaforme e di affiancare la Commissione nella procedura di sorveglianza rafforzata, attivata nel caso in cui il comportamento del gigante della rete provochi un rischio persistente in ambito tecnologico e sociale. A quel punto la Commissione potrebbe intervenire faccia a faccia con l’operatore imponendo, se necessario, sanzioni fino al 6 per cento del fatturato annuo.
Il Digital Market Act per moderare i “guardiani” dell’e-commerce
Il DMA è prevalentemente indirizzato a fare del mercato digitale europeo un ambiente economicamente contendibile, cioè pienamente concorrenziale. L’esigenza nasce, come sostiene la stessa proposta di legge, dal fatto che sempre più consumatori si rivolgono a un numero limitato di piattaforme online per l’acquisto di beni e servizi, rendendo queste ultime uno snodo fondamentale dell’economia digitale. Così, nella maggior parte dei casi, all’atto di mediare tra consumatore e negoziante, queste piattaforme si trovano spesso a presidiare da veri e propri “guardiani” (gatekeeper) l’accesso ai mercati online, mettendo in atto pratiche scorrette contrarie ai benefici del libero mercato. Con il DMA la Commissione vuole impedire che le grandi piattaforme dettino in solitaria le leggi del commercio online.
Gli osservati speciali: chi sono i “gatekeeper”?
La Commissione propone tre parametri qualitativi e quantitativi da considerare congiuntamente per individuare i soggetti interessati dalle regole del DMA. Per essere considerata rilevante nell’influenzare il mercato interno una piattaforma deve in primo luogo fornire servizi chiave (motori di ricerca, social networking e altri servizi di intermediazione online) in almeno tre stati membri e presentare un livello di fatturato pari almeno a 6,5 milioni di euro registrato nel mercato unico negli ultimi tre anni, o in alternativa un valore di capitalizzazione pari almeno a 65 milioni di euro. Il secondo elemento riguarda l’utenza, che deve essere superiore ai 45 milioni di consumatori finali al mese e di 10 mila imprese servite annualmente. Infine, le autorità dovranno tener conto del carattere durevole nel tempo della posizione dominante esercitata da queste grandi piattaforme, un elemento implicito per le società che raggiungono gli elevati volumi d’affari e di utenza considerati nei primi due parametri. Le caratteristiche adottate per la definizione di un gatekeeper non sono tuttavia inderogabili. La Commissione può sempre definire “gatekeeper” una piattaforma che non soddisfi tutti e tre i fattori considerati. Sono previsti obblighi anche per impedire pratiche scorrette da parte di piattaforme prossime ad acquisire lo status di gatekeeper.
I paletti della Commissione. Cosa possono fare e cosa non possono fare i gatekeeper.
Tra i don’t maggiormente degni di nota ci sono il divieto di combinare i dati ottenuti dalla piattaforma con i dati raccolti da altri servizi erogati dallo stesso gatekeeper (per evitare vantaggi competitivi eccessivi), il divieto di utilizzare i dati generati dall’attività delle imprese che si appoggiano alla piattaforma del gatekeeper quando quest’ultimo è in competizione con esse e di classificare meglio i propri prodotti rispetto a quelli delle altre imprese, il divieto di impedire agli utenti di disinstallare software o app pre-installate.
Alcuni don’t sono speculari ai do. Tra questi ci sono l’obbligo per i gatekeeper di consentire alle imprese che si servono dei loro servizi di accedere alle informazioni derivanti dalla loro attività sulla piattaforma; l’obbligo di consentire alle stesse imprese di offrire ai consumatori i prodotti e i servizi proposti sulla piattaforma a condizioni differenti di quelle offerte dalla piattaforma; l’obbligo di permettere agli utenti finali di installare software o app di terze parti e di utilizzarle senza passare per la piattaforma del gatekeeper.
Non adeguandosi alle norme del nuovo regolamento sul mercato digitale le piattaforme pagherebbero uno scotto non da poco: la bozza attualmente prevede sanzioni comminate direttamente dalla Commissione pari al 10 per cento del fatturato annuo e, in caso di condotta persistente, misure strutturali come la vendita di attività, proprietà materiali e immateriali.
Il ruolo centrale della Commissione
Rispetto al Digital Services Act, dove il ruolo delle autorità nazionali era tenuto vivo dai Coordinatori dei servizi digitali, nel DMA il ruolo della Commissione nel contrastare le pratiche anticoncorrenziali appare chiaro. Sarà l’esecutivo europeo che sovrintenderà tutti i passaggi del controllo dell’applicazione della direttiva. Accentrerà su di sé tutte le procedure di informazione, ispezione, monitoraggio e di applicazione delle sanzioni. Quanto serve per assicurarsi una battaglia ad armi pari.