Bruxelles – È noto e stranoto che la partita della ripresa economica – ma non solo – per uscire dalla pandemia è decisiva per l’Unione Europea. Una ovvietà. Tuttavia è una partita dall’esito non scontato. Perché l’economia, le società, i cittadini in carne e ossa sono ancora ostaggio del Covid-19. E perché, quando il virus sarà sotto controllo grazie ai vaccini, gli effetti che ha scatenato dureranno oltre il momento in cui la curva epidemica si appiattirà a quota zero.
C’è un terzo motivo: l’Unione Europea deve dimostrare di trovare quella capacità di resilienza che ha fatto difetto durante la grande crisi finanziaria di dieci anni fa e di avere gli anticorpi politici e istituzionali per reggere alle nuove sfide globali tra un nuovo corso della politica americana solo abbozzato e una Cina sempre più assertiva. Il libro di Antonio Pollio Salimbeni, uno dei più attenti giornalisti italiani a Bruxelles, “Doppia partita” (edito da Castelvecchi , 155 pagine, 16,50 euro) spiega genesi, ragioni e obiettivi dell’accordo del luglio 2020 tra i governi per emettere debito pubblico comune per 750 miliardi, in una scala mai sperimentata finora, e dar vita a una grande operazione di solidarietà e investimento in tutti i Paesi dell’Unione. Chiaro lo scopo: evitare che la pandemia faccia precipitare il continente in una stagnazione di lungo periodo, aggravi le già profonde divergenze tra le economie, destrutturi il mercato unico, indebolisca anche i Paesi forti, la Germania innanzitutto, arrestando il processo di integrazione europea, inevitabilmente incrinato dalla Brexit come dalle politiche populiste e sovraniste, che il Covid-19 ha solo messo per il momento in ombra.
Pollio Salimbeni, che da anni segue a Bruxelles gli affari europei per l’agenzia di stampa Il Sole 24 Ore Radiocor e Il Messaggero, ricostruisce i mesi di discussioni e trattative serrate per definire una strategia comune mettendone in luce le sostanziali differenze rispetto ai tempi della Troika all’epoca dei salvataggi di Paesi sull’orlo del fallimento. L’operazione europea anticrisi ha mandato in pezzi uno dopo l’altro ferrei dogmi politici vigenti da un paio di decenni in Europa: il patto di stabilità con le regole di bilancio è stato congelato; il regime di aiuti pubblici alle imprese è diventato una rete a maglie ultra larghe; infine, l’emissione di obbligazioni per 750 miliardi da redistribuire e da restituire non sulla base del peso economico di ciascun Paese, ma sulla base della necessità dovuta alla crisi. Per la prima volta, gli Stati accettano di condividere una operazione fiscale comune.
Non è stato un percorso lineare. Racconto e analisi di Pollio Salimbeni zigzagano tra le aporie, i mezzi passi, le resistenze che hanno contrassegnato quella difficile trattativa. E le nuove prospettive politiche, economiche e anche per gli assetti del mercato finanziario e per l’euro, che possono aprirsi in futuro: l’accordo su Next Generation EU, così si chiama il nuovo strumento anticrisi, può creare le basi per un “nuovo inizio” della UE oppure restare una forzatura politica congiunturale giustificata solo dall’emergenza. Come emerge dal volume, i fattori della svolta europea sono molteplici e riflettono interessi e valutazioni di lungo periodo in Paesi chiave dell’Unione Europea, a partire dalla Germania. L’approdo è meno chiaro, un quadro solo abbozzato. La partita è decisiva per l’Unione Europea, sostiene Pollio Salimbeni, “perché va verificato se sarà in grado di essere effettivamente resiliente superando la crisi e attrezzandosi per migliorare la prestazione dell’economia a livello continentale. Per i governi perché a un certo punto dovranno decidere se la condivisione dei rischi deve restare solo una possibilità da tenere nell’armadietto della Croce Rossa o non essere, invece, il cammino da percorrere. Per i partiti politici europei perché hanno dimostrato la loro insignificanza in quanto tali, sovrastati dal preponderante interesse nazionale degli Stati”.
L’Italia gioca un ruolo molto importante: se l’operazione da 209 miliardi – questa la quota
riservata al Paese in prestiti e sovvenzioni – andrà a buon fine, vuol dire che emettere debito garantito da tutti gli Stati (in questo caso attraverso il bilancio UE) per uno scopo, in un’Europa che finora l’aveva escluso, paga. Di fatto, può assumere la forma di uno strumento per finanziare “beni pubblici” comuni. “Per l’Italia la partita è doppia: avrà più di tutti gli altri Paesi in termini di solidarietà pagante, ma dovrà assicurare di essere in grado di riformarsi, condizione primaria perché i fondi europei siano usati correttamente e il Paese possa lasciare dietro di sé i rischi di indebolimento strutturale dell’economia, di declino. C’è il dare e c’è l’avere: le risorse comuni sono state ripartite ma non automaticamente garantite. Per ottenerle occorrono buoni progetti di investimento e riforme per sbloccare l’economia. Anche per la UE c’è un dare e un avere: aiuti contro strategie di spesa dei governi a sostegno di una nuova fase di crescita continentale, che faccia leva sullo sviluppo ecologico per rispettare gli obiettivi pro clima e sull’economia digitale. Per creare le basi di un benessere diffuso che duri, appunto, per le prossime generazioni”. Una prova non solo per un governo ma per un’intera classe dirigente