Bruxelles – Al fine di promuovere il benessere degli animali nell’ambito della macellazione rituale, gli Stati membri dell’Unione europea possono, senza violare i diritti fondamentali sanciti dalle norme comuni, imporre un preliminare processo di stordimento reversibile, che non comporti dunque la morte dell’animale. Lo ha stabilito oggi una sentenza della Corte di Giustizia dell’UE, esprimendosi per la terza volta su un tema che è da anni oggetto di forte scontro nello stato federale del Belgio, in particolare nelle Regione delle Fiandre.
Una legge regionale del 7 luglio 2017 vieta la macellazione senza previo stordimento, anche per le macellazioni prescritte da un rito religioso. Nell’ambito della macellazione rituale, tale legge regionale prevede l’utilizzo di uno stordimento reversibile e inidoneo a comportare la morte dell’animale.
Questa norma è stata in particolare contestata da diverse associazioni ebraiche e musulmane, che ne chiedono l’annullamento totale o parziale. A loro avviso, non consentendo ai credenti di queste fedi di procurarsi carne proveniente da animali macellati conformemente ai loro precetti religiosi, i quali sarebbero contrari alla tecnica dello stordimento reversibile, la legge regionale viola il regolamento dell’Unione n. 1099/2009 e impedisce pertanto ai credenti di praticare la loro religione.
Il Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale, Belgio) ha deciso di adire la Corte europea in via pregiudiziale per chiedere, principalmente, se il diritto dell’Unione osti alla normativa di uno Stato membro che impone, nell’ambito della macellazione rituale, un processo di stordimento reversibile e inidoneo a comportare la morte dell’animale.
La Corte, riunita in Grande Sezione, rileva, anzitutto, che il principio dello stordimento dell’animale prima dell’abbattimento, istituito dal regolamento n. 1099/2009, risponde all’obiettivo principale di protezione del benessere degli animali perseguito da tale regolamento. Al riguardo, sebbene il regolamento ammetta la prassi della macellazione rituale, nel cui ambito l’animale può essere abbattuto senza previo stordimento, “tale forma di macellazione è tuttavia autorizzata solo a titolo derogatorio nell’Unione e unicamente al fine di garantire il rispetto della libertà di religione. Peraltro gli Stati membri possono adottare norme nazionali intese a garantire agli animali, durante l’abbattimento, una protezione maggiore rispetto a quella prevista dal regolamento nell’ambito della macellazione rituale”.
Ne consegue che secondo la Corte il regolamento n. 1099/2009 non osta a che gli Stati membri impongano un obbligo di stordimento preliminare all’abbattimento degli animali, applicabile anche nell’ambito di una macellazione prescritta da riti religiosi, purché, tuttavia, nel fare ciò, gli Stati membri rispettino i diritti fondamentali sanciti dalla Carta.
Per quanto riguarda il se la legge regionale comporta una limitazione all’esercizio del diritto alla libertà dei credenti musulmani ed ebrei di manifestare la loro religione, la Corte constata, anzitutto, che l’ingerenza nella libertà di manifestare la propria religione risultante dalla legge regionale è effettivamente prevista dalla legge e, inoltre, rispetta il contenuto essenziale dell’articolo 10 della Carta, in quanto è limitata a un aspetto dell’atto rituale specifico costituito da tale macellazione, non essendo per contro quest’ultima vietata in quanto tale.
Peraltro la Corte conferma la validità del regolamento n. 1099/2009 alla luce dei principi di uguaglianza, di non discriminazione e di diversità culturale, religiosa e linguistica, come garantiti dalla Carta. Secondo i magistrati europei “la circostanza che il regolamento autorizzi gli Stati membri ad adottare misure quali lo stordimento obbligatorio nell’ambito della macellazione rituale, ma non contenga alcuna disposizione analoga per l’abbattimento degli animali nell’ambito delle attività venatorie e di pesca o durante eventi culturali o sportivi, non è contraria a tali principi”. Al riguardo, essa precisa che dagli eventi culturali e sportivi risulta tutt’al più una produzione di carne marginale, che non è economicamente significativa. Di conseguenza, un simile evento non può essere ragionevolmente inteso come un’attività di produzione di alimenti, circostanza che giustifica che esso sia trattato diversamente da un’operazione di macellazione. La Corte trae la stessa conclusione per quanto concerne le attività venatorie e di pesca ricreativa. Tali attività si svolgono in un contesto in cui le condizioni di abbattimento sono molto diverse rispetto a quelle relative agli animali da allevamento.