Di Aurora Laguardia
Da concetto futuristico a vocabolo quotidiano, la didattica a distanza si è affermata come il nuovo modello d’istruzione del 2020. Osannata da alcuni, criticata da altri, la neonata DAD ha scatenato da subito reazioni ambivalenti, spaccando l’opinione pubblica e provocando il malcontento di numerosi studenti ed insegnanti. Malgrado ciò, è sembrata l’unica alternativa possibile per garantire continuità al processo formativo dei ragazzi.
Ora che l’anno del virtuale sta volgendo al termine è tempo di fare dei bilanci, al fine soprattutto di comprendere quali saranno le prospettive del prossimo futuro. La riesamina delle forme di istruzione e formazione emerse nel periodo pandemico è stato oggetto di uno dei panel dell’evento online “How can we govern Europe? 7”.
La digitalizzazione della didattica non è un’idea del tutto inedita. Formulato con l’intento di costruire una visione dell’educazione concorde con l’era del Web 2.0, il Piano Nazionale Scuola Digitale è un pilastro fondamentale de La Buona Scuola (legge 107/2015). La didattica a distanza è solo uno degli output possibili, sicuramente non il migliore, del processo di digitalizzazione della formazione, come affermato da Andrea Bollini, Direttore dell’ufficio Innovazione digitale del Ministero dell’Istruzione. Un rinnovamento della didattica, non una demolizione della sua forma tradizionale, questa è la “scuola digitale” a cui ambisce il Piano del Ministero.
Una cosa è certa: la scuola del futuro sarà in aula ma non abbandonerà le nuove tecnologie. Il “Game based learning”, giochi e videogiochi utilizzati con fini istruttivi, oppure le opportunità offerte dall’impiego della robotica per lo sviluppo del pensiero computazionale, sono alcuni degli esempi pratici di “scuola digitale” presentati da Mario Allegra, Direttore dell’Istituto tecnologie didattiche del CNR.
Questo tanto auspicato processo di digitalizzazione non trova però terreno fertile nel contesto italiano. Per l’edizione 2020 dell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI), l’Italia si colloca al 25º posto fra i 28 Stati membri dell’UE. Nel rapporto pubblicato dalla Commissione europea, emerge che il nostro paese occupa una buona posizione in termini di preparazione al 5G ma sussistono carenze rilevanti per quanto riguarda il capitale umano. Solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base, contro la media del 58% nell’UE.
In poche parole, si hanno gli strumenti ma non si sa come utilizzarli. La mancanza di digital skills nella popolazione italiana è stata la principale criticità del sistema di didattica a distanza ed è stato evidenziato dall’Europa come punto debole del nostro paese. Per sopperire a tale mancanza, il 20% dei fondi del Recovery Plan dovranno essere investiti nell’area della digitalizzazione, come affermato da Fabrizia Benini, Capo Unità Digital Economy and skills della Commissione Europea.