Bruxelles – Si va ai tempi supplementari. “La fine del negoziato UE-Regno Unito sarà quando raggiungeremo un accordo sia su una concorrenza libera e equa, sia su un accesso reciproco ad acque e mercati”, ha dichiarato questa mattina il capo-negoziatore UE, Michel Barnier, aggiornando gli ambasciatori dei 27 e gli eurodeputati del gruppo di coordinamento UE-Regno Unito. Come annunciato dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e dal premier britannico, Boris Johnson, ieri (domenica 13 dicembre) sarebbe dovuto essere il giorno del verdetto sulle relazioni post-Brexit: deal o no deal. Invece è stata scelta la terza via: provare a fare “un miglio in più” per proseguire il dialogo. A 17 giorni dalla fine del periodo di transizione, le squadre negoziali hanno ricevuto il mandato di “continuare i colloqui e vedere se un accordo può essere raggiunto anche in questa fase avanzata”, hanno fatto sapere i due leader dopo la telefonata di ieri mattina. I negoziati non si fermano, ma al momento non è stata comunicata una nuova scadenza.
La scelta della terza via (“dare tutte le chance a questo accordo, che è ancora possibile”) è stata spiegata questa mattina dal capo-negoziatore Barnier: “Abbiamo negoziato solo nove mesi per un’intesa di libero scambio col Regno Unito“, mentre “per tutti gli accordi chiusi in precedenza sono stati necessari almeno cinque anni”. Dopo aver aggiornato il gruppo di coordinamento UE-Regno Unito del Parlamento UE, Barnier ha commentato su Twitter: “I prossimi giorni sono importanti, se un accordo deve entrare in vigore il 1° gennaio 2021″, ricordando che “una concorrenza leale e una soluzione sostenibile per i nostri pescatori e pescatrici sono la chiave per raggiungere un accordo”.
https://twitter.com/MichelBarnier/status/1338417538062045184?s=20
A rimanere ancora irrisolti sul tavolo, sono in particolare due dei tre nodi negoziali che hanno fatto slittare di tempi per un accordo: pesca nelle acque britanniche e level playing field, vale a dire la parità di condizioni, mentre sulla governance (gestione dell’Accordo di recesso ed eventuali relazioni future) sembra si stia già lavorando in dettaglio sulle azioni soggette a sanzioni. Per quanto riguarda la questione delle regole comuni, la controversia è sugli standard ambientali, alimentari, lavorativi e sociali, che vanno dagli obiettivi di riduzione delle emissioni alle normative in materia di salute e sicurezza, che evitino un vantaggio competitivo delle imprese di un Paese su quelle di altri. Bruxelles sostiene che dovrebbe essere possibile per entrambe le parti proporre una revisione degli standard minimi comuni in futuro e prevedere un sistema per la risoluzione delle controversie, possibilmente attraverso un arbitrato indipendente. Downing Street sta puntando i piedi sulla definizione di chi e come fisserà i nuovi standard minimi, temendo che l’UE voglia indirettamente imporre le proprie leggi: “Senza garanzie sul meccanismo, è una minaccia per il nostro diritto sovrano”, ha ripetuto più volte il capo-negoziatore britannico, David Frost.
Sul piano della pesca, la situazione è più complessa, perché le parti sono ancora lontane da un’intesa che, per il Regno Unito, è una questione di principio. Il primo punto riguarda le quote che possono essere pescate nelle relative zone economiche esclusive (200 miglia nautiche dalla linea di base del mare territoriale o fino alla linea di metà percorso negli stretti): il Regno Unito vuole una ripartizione 80-20 per cento a suo favore nella sua zona di competenza, oltre al diritto esclusivo per i pescherecci britannici nell’area tra le 6 e le 12 miglia nautiche dalla propria costa. Su questo si oppongono in particolare Francia e il Belgio, che sostengono di aver pescato per secoli in quelle acque e non tollerano la minaccia dell’espulsione dei propri pescherecci. Il secondo punto riguarda invece la percentuale della quota di pesce catturato da imbarcazioni UE nella zona economica esclusiva del Regno Unito da lasciare alla controparte: Bruxelles mira a un 15/18 per cento, Londra ha alzato l’asticella al 60. Ultimo punto, il periodo di transizione: il Regno Unito ha chiesto tre anni per introdurre gradualmente i cambiamenti, l’UE ha rilanciato a dieci.
Dopo l’aggiornamento di questa mattina, fonti europee suggeriscono che “si comincia a intravedere un passaggio stretto per un accordo“. Ma sarà decisivo lo sforzo dei negoziatori nel provare a “sgomberare il campo dagli ostacoli” nell’ultimo miglio indicato dalla Commissione Europea, dove si rimane possibisti senza sbilanciarsi troppo. “Non sono nè ottimista né pessimista”, dice il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni, intervenendo al Rome Investment Forum. “Quando si sposta una scadenza è perché a livello politico c’è la volontà di trovare una soluzione e c’è ancora spazio per il negoziato”. Ad ogni modo “è questione di giorni, non di settimane” per trovare una quadra. In caso di nulla di fatto “abbiamo un fondo per i Paesi maggiormente colpiti” da una una hard Brexit, conclude Gentiloni.