Bruxelles – La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha respinto i ricorsi di annullamento presentati dall’Ungheria e dalla Polonia contro la direttiva che rafforza i diritti dei lavoratori distaccati, garantendo loro la stessa retribuzione dei colleghi locali. Con una sentenza nelle cause C‑620/18 e C‑626/18 la Corte ha chiarito che “il legislatore dell’Unione ha cercato di assicurare la libera prestazione dei servizi su base equa” attraverso la direttiva 2018/957, “garantendo una concorrenza che non sia fondata sull’applicazione, in uno stesso Stato membro, di condizioni di lavoro e di occupazione di livello sostanzialmente diverso” tra “lavoratori distaccati e lavoratori impiegati da imprese stabilite nello Stato membro ospitante”.
Tenuto conto dell’allargamento a nuovi Paesi membri UE, la direttiva si ispira ai principi di parità di trattamento e protezione sociale e implica che ai lavoratori distaccati “non si applichino più le «tariffe minime salariali» fissate dalla legislazione dello Stato membro ospitante, bensì la «retribuzione» prevista da tale legislazione”. La sentenza specifica che il legislatore “poteva fondarsi sulla stessa base giuridica utilizzata per adottare la direttiva 96/71 (modificata proprio dalla direttiva in questione, ndr)” per procedere a una “rivalutazione degli interessi delle imprese che beneficiano della libera prestazione dei servizi e di quelli dei loro lavoratori distaccati in uno Stato membro ospitante”. Lo scopo, quello di “garantire che la libera prestazione si realizzi in condizioni di equa concorrenza tra tali imprese e quelle stabilite nello Stato membro ospitante”. Nella valutazione si ricorda che “la direttiva 96/71 era stata all’origine di una disparità di condizioni” tra imprese locali e imprese che distaccavano lavoratori da altri Stati membri, come nel caso degli operai dell’Est Europa (come la Polonia) inviati a lavorare fuori dai confini nazionali con il proprio stipendio, inferiore ai lavoratori del luogo ospitante.
La Corte ha esaminato il motivo del ricorso – basato sulla presunta violazione dell’articolo 56 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) – ovvero il fatto che la direttiva 2018/957 eliminerebbe il vantaggio concorrenziale, in termini di costi, di cui avrebbero beneficiato i prestatori di servizi stabiliti in Ungheria e Polonia. Tuttavia, secondo la Corte, “tale direttiva non ha in alcun modo l’effetto di eliminare qualsiasi concorrenza fondata sui costi“, perché “prevede di garantire ai lavoratori distaccati l’applicazione di un insieme di condizioni di lavoro e di occupazione nello Stato membro ospitante, tra cui gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori in tale Stato”. In questo senso, “non ha effetto sugli altri elementi dei costi delle imprese che distaccano simili lavoratori, quali la produttività o l’efficienza”. Infine, viene ribadito il fatto che “un distacco di una durata superiore a dodici mesi” ha come conseguenza quella di “ravvicinare sensibilmente la situazione personale dei lavoratori distaccati a quella dei lavoratori impiegati da imprese stabilite nello Stato membro ospitante”.