Roma – Come prevedibile da Bruxelles è arrivato un nuovo avviso di messa in mora all’Italia per le concessioni balneari che godono della proroga, in palese contrasto con le norme comunitarie. Nel richiamo della Commissione europea si legge che non solo “non è stata attuata la sentenza della Corte di giustizia, che già nel 2015 aveva giudicato le proroghe automatiche non compatibili con le regole del mercato interno”, ma la scorsa primavera (con il “decreto rilancio”) si è aggravata la situazione con la conferma dell’estensione fino al 2033 delle attuali concessioni. Decreto che ha inoltre vietato agli enti locali di avviare nuove gare per l’assegnazione di quelle scadute.
Secondo la Commissione, gli Stati membri sono tenuti a garantire che le autorizzazioni (che sono limitate per via della scarsità delle risorse naturali come nel caso delle spiagge), siano rilasciate per un periodo determinato e mediante gare pubbliche basate su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi. Norme che hanno l’obbiettivo di consentire a tutti i fornitori di servizi la possibilità di competere per l’accesso a tali risorse limitate, promuovere l’innovazione e la concorrenza leale, a vantaggio di consumatori e imprese ed evitare il pericolo di monopoli.
Tutti questi presupposti sarebbero invece disattesi con concessioni che nel caso delle spiagge e degli stabilimenti balneari in molti casi hanno durata trentennale e con proroghe automatiche. Così, oltre che la reiterazione di condizioni di privilegio e scarsa concorrenza, vietati dalle norme comunitarie, in Italia si registrano canoni irrisori, fuori mercato e non paragonabili a qualsiasi altra fornitura di servizi dati in concessione di un bene demaniale pubblico. Beni che in molti casi sfuggono alla mappatura e al censimento, in un groviglio di competenze tra Regioni e amministrazione centrale.
Le associazioni dei gestori degli stabilimenti riuniti in diverse sigle chiedono al governo di trovare una soluzione e giudicano “contradditorio” il richiamo della Commissione europea che contesta l’incertezza generata dalla proroga, mentre al contrario, “rimette in moto il settore, favorisce gli investimenti bloccati e avvia un processo di riforma”. Per questo chiedono che “esecutivo e Parlamento siano uniti nel difendere la legge approvata e nel far rispettare le prerogative nazionali”.
In violazione della direttiva Bolkestein del 2006 sulla liberalizzazione dei servizi, l’Italia aveva subito una procedura d’infrazione già nel 2009 quando era in vigore ancora il regime di rinnovo automatico. Questo fu successivamente abrogato ma solo sulla carta, tenuto in vita da altre due proroghe e senza mai attuare la riforma del demanio marittimo. Dopo la lettera di messa in mora, il governo italiano ha due mesi per rispondere alle argomentazioni sollevate dalla Commissione, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di inviare un parere motivato.