Bruxelles – Un anno fa, a dicembre 2019, la Commissione europea lanciava il suo ambizioso piano per rendere più sostenibile lo stile di vita dei cittadini europei, il Green Deal europeo. L’obiettivo a lungo termine è quello di rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050 ma alla luce della crisi economica innescata dalla pandemia, c’è chi si domanda se ci sia contraddizione tra la necessità di una ripresa post-pandemia e l’ambizione di realizzarla in linea con gli obiettivi di neutralità climatica.
Dubbi che abbiamo cercato di sciogliere nell’inconro su “Green Deal europeo, la riconversione verde come volano per uscire dalla crisi”, moderato dal collega Lorenzo Consoli di Askanews, tenuto nell’ambito di ‘How Can We Govern Europe’, l’evento promosso da Eunews per un dibattito più consapevole sull’Europa, e giunto quest’anno alla settima edizione. Opinione condivisa all’interno della Commissione europea è che per uscire dalla crisi serviranno ingenti investimenti e una massimizzazione delle capacità dell’Unione , ma soprattutto servirà investire risorse in una nuova economia senza perdere tempo a ripristinare quella vecchia. “Era scontato che avremo usato il Green Deal come una strategia di crescita”, ha chiarito Mauro Petriccione, Direttore generale DG Clima dell’Esecutivo comunitario. La tentazione di “fermare tutte le innovazioni e tornare indietro” per gestire a pieno gli effetti della crisi pandemica è “comprensibile, ma non è una strategia razionale, perché si rischia di sprecare tempo e investimenti”.
Il problema per il Green Deal, ieri come oggi, rimane quello degli investimenti, “dove trovare le risorse per un finanziamento massiccio, c’è da investire nelle nuove tecnologie e nel portarle anche sul mercato”. Proprio le tecnologie verdi, sottolinea Petriccione, sono uno dei settori in cui il mercato dell’UE è “in testa per quanto riguarda i brevetti e l’innovazione, progrediamo sia in termini assoluti che in termini relativi”. La pandemia ha giocato un ruolo di primo piano nel cambiare la logica egoistica in seno al Consiglio europeo, evidenziando invece la solidarietà come elemento chiave per il mercato unico. Trovato un accordo su Recovery Fund ora “non va sprecata questa opportunità. Se dovessimo spendere quelle risorse per ricostruire una società fondata sui combustibili fossili, non saremmo competitivi”.
Trovare il perfetto equilibrio tra il “mantenimento in vita del business e le ragioni del rispetto dell’ambiente”. Questa è la vera sfida per un nuovo modello di sostenibilità, dice Massimiliano Salini, europarlamentare del Ppe e membro della Commissione per i Trasporti e il Turismo. Questo percorso di transizione verde parte dal presupposto che l’attuale modello di sviluppo non sia più sostenibile, perché consuma troppe risorse naturali e impatta negativamente sul clima. All’Europa ora il compito di interrogarsi su come impostare questo nuovo paradigma della sostenibilità. “Sostenibile è ciò che dura e non dura ciò che non si sostiene dal punto di vista economico”, riassume Salini, precisando che sono state proprio “le imprese europee a generare il Green Deal” più della politica e per questo vanno tutelate. Il nuovo “paradigma andrebbe fondato sulla sostenibilità dentro una tradizione forte delle imprese manifatturiere europee”.
“Non tutte le industrie sono uguali e quindi ci sono settori economici più suscettibili a una svolta ambientale”, ha aggiunto Monica Frassoni, Presidente dell’Alleanza Europea del Risparmio Energetico, chiarendo il suo punto di vista. Per rendere l’Unione europea competitiva a livello globale “non bisogna continuare a insistere su una economia dipendente dalle fonti fossili ma liberarsene”. C’è “urgenza di cambiare modello” e accelerare il percorso per la sostenibilità, ma non è responsabilità solo del mondo industriale quanto della politica. L’adattamento della legislazione europea (e nazionale) sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica sono temi prioritari “per raggiungere obiettivi climatici più ambiziosi al 2030”, tema che sarà sul tavolo del prossimo Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre.
Una transizione sostenibile sarà raggiunta solo se non sarà lasciato indietro nessuno. Su questo punto insiste Daria Ciriaci, Responsabile degli Affari Europei per Cdp, che ha ricordato le tre dimensioni “ambientale, economica ma soprattutto sociale” su cui si fonda una transizione sostenibile. A causa della pandemia a disposizione degli Stati europei ci sono massicci fondi e garanzie da parte dell’Unione – attraverso Bilancio Ue a lungo termine (2021-2027) e lo strumento temporaneo Next Generation Eu – ma per “capitalizzare bene e sfruttare questo ingente ammontare di risorse la parola chiave è la pianificazione” di come queste risorse andranno spese, ricorda Ciriaci, sottolineando il ruolo fondamentale della finanza che deve “essere al servizio delle industrie”. Ha chiarito infine quanto è fondamentale che le nuove tecnologie facciano da perno per una ripresa verde e “non è un caso che esista il binomio verde e digitale” anche tra le priorità indicate dalla Commissione europea.