Il riconoscimento della vittoria di Joe Biden sembra turbare profondamente non solo l’ormai ex presidente ma tutta la nomenclatura governativa. Tale mancanza di etica pubblica, cioè la capacità del riconoscimento della vittoria dell’avversario e della cessione del potere, mostra la presenza di un decadimento morale e profondo della democrazia americana. L’orgia del potere è una pericolosa deformazione: l’incapacità di riconoscere che la salubrità del sistema rappresentativo passa proprio per il riconoscimento sì di una sconfitta politica ma al contempo da una vittoria più grande del sistema democratico, vera linfa vitale dell’ordine sociale che oggi conosciamo.
La messa in opera di questo processo di delegittimazione democratica fa giocoforza gli interessi di coloro che dominano i piani alti dell’ordine capitalistico esistente. Oggi il desiderio di potere per il potere non tiene minimamente conto della morale che dovrebbe essere parte endemica del valore della democrazia. I sistemi politici sono oramai schierati con lobby di potere economico con cui si connettono per incrementare il peso di un sistema capitalista che certo non tiene conto del benessere della collettività. Purtroppo l’alternanza delle forme di governo che sono la sostanza della democrazia è oggi meno concepibile nella sostanza e tantomeno nel suo valore morale ed etico.
Spaccare la società con il mancato riconoscimento del risultato delle elezioni serve non solo a delegittimare la vittoria dell’avversario, ma anche le nuove idee di ‘modello economico’ da esso perorate, etichettandole con una chiara impronta ideologica capace di aumentare la diffidenza e il preconcetto da parte degli elettori che hanno votato la parte sconfitta. In questo modo le élite capitalistiche trovano una base sociale su cui legittimare sempre più il proprio potere, nonostante i propri interessi di accumulazione di capitale siano spesso in contrasto con la richiesta di maggior diritti, ridistribuzione economica e sicurezza sociale che in via trasversale accomunano buona parte dei movimenti politici almeno nel mondo occidentale: c’è chi pensa di ottenerli attraverso movimenti conservatori e chi attraverso movimenti progressisti.
Non riconoscere una sconfitta politica può essere il primo passo verso quell’autoritarismo che si sposa con quell’ordine capitalistico esistente delle disuguaglianze crescenti e del progressivo logoramento dei diritti sociali, politici ed economici della classe media ma anche di quella popolare. Democrazia vuol dire cambiamento, autoritarismo vuol dire mantenimento dell’ineguaglianza sociale, politica ed economica. Per questo dobbiamo custodire gelosamente i valori morali, etici e politici dell’ordine democratico, sia se siamo conservatori e sia se siamo progressisti.
Giampaolo Conte è ricercatore e docente in Storia Economica presso l’università Roma Tre.