Bruxelles – Alla fine, anche quella appena trascorsa non si è rivelata essere altro che l’ennesima ‘settimana decisiva’ abortita, nel tentativo dell’Unione Europea e del Regno Unito di trovare un accordo post-Brexit. L’orologio continua a ticchettare – per usare una delle espressioni preferite dal capo-negoziatore UE, Michel Barnier – e ormai di giorni alla fine del periodo di transizione ne mancano solo 34. Ma nessun segno di avvicinamento tra le parti sui tre nodi irrisolti: pesca nelle acque britanniche, level playing field (insieme di regole e standard comuni che evitano un vantaggio competitivo delle imprese di un Paese) e governance (gestione dell’Accordo di recesso ed eventuali relazioni future), rimangono da mesi sul tavolo, senza soluzione.
Oggi (venerdì 27 novembre) Barnier ha fatto un passo indietro dalla sua minaccia dello scorso martedì di disertare i negoziati programmati a Londra per questo fine settimana, “se entro 48 ore il Regno Unito non cambierà la sua posizione”. Nella riunione con gli ambasciatori dell’UE il capo-negoziatore ha spinto per provare a insistere ancora nel tentativo di trovare un accordo con la controparte, nonostante la mancanza di progressi nell’ultima settimana. Su Twitter ha poi fatto sapere che “questa sera sarò in viaggio a Londra per continuare i colloqui con David Frost (capo-negoziatore del Regno Unito, ndr)”. Colloqui che torneranno a essere in presenza, dopo che un membro della squadra UE è risultato positivo al Covid-19 e lo stesso Barnier si è dovuto sottoporre alla misura dell’isolamento fiduciario da giovedì 19 novembre. “In linea con le regole belghe, io e la mia squadra non siamo più in quarantena”, ha puntualizzato Barnier.
https://twitter.com/MichelBarnier/status/1332240787350958080?s=20
Il capo-negoziatore UE ha sostanzialmente ribadito la linea espressa mercoledì della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, davanti al Parlamento UE in plenaria: l’accordo è ancora distante e non c’è alcuna certezza di raggiungerlo. In aggiunta, anche se venisse trovata la quadratura del cerchio questo fine settimana a Londra, il mese di dicembre sarebbe un vero e proprio tour de force per l’iter di approvazione in Parlamento UE: ieri gli eurodeputati hanno convenuto che sarebbe quasi impossibile esaminare e dare il proprio consenso a un accordo, se non sarà raggiunto entro mercoledì prossimo (2 dicembre). In questo caso, il voto finale per ratificare l’accordo commerciale sulla Brexit potrebbe arrivare il 28 dicembre.
Da parte britannica, il capo-negoziatore Frost ha dichiarato oggi che “è tardi, ma è ancora possibile un accordo con l’Unione Europea”. Su Twitter ha fatto sapere che se per alcuni non è chiaro il motivo del proseguo del dialogo, “la risposta è che il mio lavoro è fare del mio meglio per vedere se esistono le condizioni per un accordo“. Il momento in cui ci si alzerà dai tavoli negoziali non arriverà “fino a quando non sarà chiaro che non è possibile trovarlo”. Bisogna però rilevare che la posizione del Regno Unito non è cambiata di molto, considerato il fatto che Frost ha ribadito ancora una volta che l’intesa deve rispettare pienamente la sovranità del Paese: “Non è solo un modo di dire: ha conseguenze pratiche”, ha aggiunto. “Ciò include il controllo dei nostri confini, la decisione autonoma su un sistema di controllo delle sovvenzioni solido e basato su principi e il controllo delle nostre acque di pesca”. In altre parole, “un accordo su qualsiasi altra base non è possibile”.
2/4 Some people are asking me why we are still talking. My answer is that it's my job to do my utmost to see if the conditions for a deal exist. It is late, but a deal is still possible, and I will continue to talk until it's clear that it isn’t.
— David Frost (@DavidGHFrost) November 27, 2020
Il fronte scozzese
Intanto però diventa sempre più minaccioso il vento dell’indipendenza scozzese, gonfiato dall’incertezza degli sviluppi dell’uscita del Regno Unito dall’UE e dalla possibilità sempre più concreta di un no deal finale. In un’intervista per la BBC, la leader del Partito Nazionale Scozzese (SNP) e prima ministra della Scozia, Nicola Sturgeon, ha dichiarato che “il referendum per l’indipendenza dovrebbe tenersi nella prima parte della prossima legislatura“. Le elezioni del Parlamento scozzese sono programmate per maggio del 2021, di qui l’indicazione della premier ad accelerare i tempi per la preparazione di un secondo referendum, dopo quello del 2014 (fallito con l’opposizione del 55 per cento degli elettori). La dichiarazione di Sturgeon è andata a rafforzare quanto già affermato da Ian Blackford, leader dell’SNP a Westminster, che qualche settimana fa è stato categorico nell’indicare proprio per il 2021 la data del nuovo referendum. Smussando comunque le strette tempistiche di Blackford, la premier scozzese ha aggiunto: “Esporrò meglio il manifesto prima delle prossime elezioni, in questo momento siamo nel pieno di una pandemia globale e la mia prima responsabilità è la salute e il benessere del Paese”.
La gestione della crisi Covid-19 ha comunque offerto la sponda a Sturgeon per rivendicare le istanze indipendentiste: “I Paesi di tutto il mondo, compresa la Scozia, dovrebbero decidere che tipo di società vogliono essere man mano che emergono dalla pandemia“. Ecco perché i cittadini a nord del Vallo di Adriano devono chiedersi se il loro futuro lo debba decidere “un governo a Londra che sembra determinato a portarci nella direzione sbagliata” o “un governo scozzese, di qualunque partito, ma responsabile nei confronti del suo popolo”. Perciò le elezioni per il rinnovo del Parlamento il prossimo anno saranno cruciali: “Se le persone in Scozia voteranno per un referendum, ci sarà un referendum“, ha concluso, lasciando nemmeno troppo tra le righe che se l’SNP vincerà le elezioni a maggio, gli sarà conferito automaticamente il mandato di tenere un secondo referendum sull’indipendenza. Downing Street ha ripetutamente affermato che non lo concederà, rivendicando la validità di quello tenutosi sei anni fa. Ma per il governo Johnson il 2020 rischia sempre più di chiudersi con un fronte non risolto a sud, con la questione Brexit, e uno pronto a scoppiare a nord, con la minaccia dell’Indyref2.