Bruxelles – “Vogliamo creare il mercato unico dei dati”. L’obiettivo ultimo della proposta di regolamento per la gestione dei dati è questo, come sintetizzato dal commissario per il Mercato unico, Thierry Breton. Ogni giorno si creano tutta una serie di informazioni, dall’alto potenziale industriale a impatto sociale, ma inutilizzabili per la loro natura confidenziale. L’UE cerca di avviare la problema con nuove proposte che inducano sempre più Stati membri a condividere le informazioni.
L’esempio che si ritiene più calzante è quello della sanità. I dati dei pazienti sono sensibili, ma se strutture medico-ospedaliere potessero condividere dati su malattie rare o terapie sperimentali sarebbe possibile sviluppare cure anche mirate. Restando all’attualità, una diversa politica sui dati avrebbe potuto “fornire una risposta più efficace alla crisi del coronavirus“, sottolinea il team von der Leyen, sottolineando che ci sono 18 organizzazioni partner che hanno identificato diverse molecole per il trattamento contro il virus, grazie alla ‘donazione’ di informazioni da parte delle aziende farmaceutiche ai centri di ricerca europei. In assenza di un processo di condivisione dei dati, ci sono voluti 3 mesi, ma uno spazio comune europeo dei dati sanitari avrebbe facilitato lo sviluppo di soluzioni più rapide.
Ci sono la questione della riservatezza e della gestione di questi dati. L’idea della Commissione europea è quella di creare un quadro normativo a prova di futuro. Del resto nell’UE c’è già chi lavora alla condivisione totale dei dati. La Finlandia, ad esempio, ha nel Genome Centre il suo database unico nazionale sul DNA di tutti i pazienti entrati almeno una volta in una delle strutture del Paese.
Premessa d’obbligo. “Non si obbliga nessuno a condividere dati”, spiega Margrethe Vestager nel presentare la proposta. “Si vuole facilitare la condivisione per chi vuole”, precisa la vicepresidente esecutiva responsabile per Concorrenza e digitale. E’ convinzione dell’esecutivo comunitario che “con le giuste regole si possono usare”. Quel che manca oggi non è la volontà, ma strumenti adeguati.
In base alla proposta di regolamento, si propone la creazione di intermediari. Gli intermediari dei dati, che dovranno essere società senza fini di lucro, saranno tenuti a notificare all’autorità pubblica competente la loro intenzione di fornire tali servizi. Le autorità pubbliche controlleranno il rispetto dei requisiti e la Commissione terrà un registro degli intermediari dei dati. Ci sarà dunque un controllo a doppio livello, nazionale e comunitario. Questi intermediari potranno raccogliere i dati tra i diversi Stati membri, e dovranno essere registrati.
“Stiamo chiedendo agli Stati membri di creare autorità specifiche per questo”, dice Breton. “Dobbiamo fare in modo di poter sfruttare la massimo il nostro mercato unico”.
A questo si aggiunge la proposta di spazi aperti europei, database on-line comuni dove stivare tutte le informazioni di cui si ha bisogno. Si tratta di un’iniziativa per il riuso delle informazioni del settore pubblico. Enti pubblici e amministrazioni detengono grandi quantità di dati che non possono essere resi disponibili come dati aperti perché includono informazioni su individui o informazioni aziendali (ad esempio dati sanitari, informazioni sui sistemi finanziari). Il regolamento proposto completa quindi la direttiva sugli spazi aperti affrontando i dati che non possono essere resi disponibili come dati aperti.
La Commissione stima che l’accesso e il riutilizzo dei dati possono generare benefici sociali ed economici tra ‘1% e il 2,5% del PIL dell’UE (tra i 139 miliardi e i 347,5 miliardi di euro, prendendo il PIL del 2019, prima della pandemia). Dal punti di vista prettamente industriale si prevede una maggiore produttività nel settore manifatturiero pari a 1.300 miliardi di euro tramite i dati dell’Internet delle cose entro il 2027. A questo si aggiungerebbero 120 miliardi di euro di risparmi l’anno per la sanità di tutta l’UE. Questi i numeri dietro i dati e un loro pieno utilizzo.