Bruxelles – Se si dovesse riassumere la posizione del Parlamento Europeo sulla questione del diritto all’aborto in Polonia, basterebbero cinque parole: Women’s rights are human rights, i diritti delle donne sono diritti umani. La stessa rivendicazione dei movimenti femministi degli anni Ottanta, le stesse parole utilizzate anche dalla commissaria europea per l’Uguaglianza, Helena Dalli, in apertura del dibattito nell’emiciclo. “La protezione dei diritti delle donne è la mia missione di commissaria e la mia lotta personale”, ha esordito, “e i servizi di salute riproduttiva e sessuale, dall’accesso alla contraccezione all’aborto e al trattamento delle malattie sessualmente trasmissibili, sono elementi fondamentali per donne e ragazze di tutto il mondo”. Questione messa in discussione, appunto, con la sentenza della Corte Costituzionale polacca di limitare l’accesso all’aborto, rendendolo illegale anche nel caso di malattie e gravi malformazioni del feto: “Abbiamo visto quante cittadine e cittadini polacchi uniti nella protesta siano scesi in strada nelle settimane seguenti”, ha ricordato la commissaria. “Nutro la speranza che queste voci siano sentite e ascoltate, perché forti diritti per le donne sono un risultato di cui tutta l’Europa deve essere orgogliosa. Fare un passo indietro non è un’opzione”.
Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il Parlamento Europeo si è fatto trovare pronto nel rispondere con determinazione alla violazione dei diritti delle donne polacche e dello Stato di diritto nel Paese membro. Tutti i gruppi uniti in una sola voce di condanna, fatta la sola eccezione – più che prevedibile – per la destra di Identità e Democrazia e dei Conservatori e Riformisti Europei (le argomentazioni: opposizione alla pratica dell’aborto come metodo di salute riproduttiva e difesa del diritto alla vita dei bambini non nati, oltre al tasto del rischio di contagio da Covid-19 durante le proteste). Dai popolari ai socialdemocratici, fino ai verdi e alla sinistra radicale, la distinzione si è avvertita solo nella veemenza del tono di condanna, ma non nei contenuti. “La Polonia non può più essere l’inferno per le donne”, ha esordito l’eurodeputata irlandese del PPE Frances Fitzgerald: “Questa politica non vincerà mai contro masse democratiche di milioni di uomini e donne”. Anche i polacchi Andrzej Halicki e Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (del partito Piattaforma Civica) si sono fatti interpreti della voce dei popolari europei: “Voi che manifestate siete europei e il fulmine che vi rappresenta simboleggia la libertà che vincerà sempre”, ha affermato Halicki, mentre Łukacijewska ha sottolineato che “nessun politico può costringere una donna all’eroismo, dalle piazze è partita una protesta che si oppone alla pseudo-educazione del governo”.
Sul fronte socialdemocratico, l’europarlamentare spagnola Iratxe García Pérez ha sostenuto che “questo dibattito nel 2020 non dovrebbe nemmeno tenersi, è intollerabile che in un Paese membro dell’UE si verifichi un attacco così grave ai diritti delle donne”, ribadendo che “non possiamo permettere che le figlie abbiano meno diritti delle madri”. Il compagno di gruppo parlamentare, il polacco Robert Biedroń, ha alzato l’asticella, affermando che “se l’aborto riguardasse gli uomini, ci saremmo già mossi con determinazione. Dobbiamo appoggiare le donne polacche, non esiste un compromesso sull’aborto”. Per il gruppo Renew, l’olandese Samira Rafaela si è battuta per il taglio ai finanziamenti al governo polacco, “se continua a non rispettare lo Stato di diritto”, chiedendo poi alla Commissione di “garantire l’accesso universale al diritto all’aborto, da includere nella prossima strategia per l’uguaglianza di genere”. Karen Melchior ha invece insistito sul fatto che “il diritto all’aborto non è lotta politica, ma un diritto umano, che negli ultimi anni si sta deteriorando anche nell’Unione Europea”.
Un grido d’allarme si è alzato dal gruppo dei Verdi/ALE, quando la polacca Sylwia Spurek ha avvertito che “il governo polacco combatte contro le manifestazioni, ma non può farlo qui, nel Parlamento Europeo, che per noi è diventato forse l’unico luogo dove si possa parlare liberamente dei diritti delle donne”. Per questo motivo “la salute deve entrare nelle competenze dell’Unione Europea, altrimenti non potremo vivere pienamente nostra democrazia”. Le ha fatto eco Terry Reintke: “La resistenza delle donne polacche ci rende fieri di essere europei e incarna lo spirito dell’Unione intera”. Per la sinistra di GUE, l’eurodeputata Eugenia Rodríguez Palop ha puntato il dito contro il governo polacco: “Obbligare le donne a usare pillole, costringerle ad andare all’estero o a pratiche clandestine per abortire è una forma di tortura. Se cade la Polonia, rischiamo in tutta Europa”. Mentre Malin Björk ha accusato lo stesso governo di “utilizzare il corpo delle donne come un campo di battaglia per ripristinare valori patriarcali e autocratici”.
Ma è stata alla fine la stessa commissaria Dalli a mettere ordine al coro di voci del Parlamento UE a sostegno alle donne polacche: “Voglio ricordare l’esempio della prima donna presidente di questo Parlamento, Simone Veil. Lei immaginò un’Europa in cui i diritti delle donne non fossero messi in discussione, né limitati”. E se questo ancora deve avvenire, “sono i suoi insegnamenti quelli da cui prendiamo ispirazione ogni giorno per riaffermare i valori che ci rendono europei”, ha concluso.