Bruxelles – Le infezioni operatorie sono più di quelle che si potrebbe immaginare. Si tratta di complicazioni dovute a interventi chirurgici, legate a scarsa sanificazione di materiale o ambienti ospedalieri o, peggio, cattive abitudini. Costano ai soli Paesi dell’UE fino a 19 miliardi di euro l’anno in costi extra, e provocano oltre 16mila morti l’anno. Health First Europe, l’Alleanza di pazienti, operatori sanitari, accademici, esperti sanitari e industria della tecnologia medica, accende i riflettori su un problema che grava sulla salute dei cittadini e sulle casse degli Stati, chiedendo alla Commissione europea di intervenire.
L’esecutivo comunitario ha lanciato la strategia per l’Unione della salute, che prevede tra le altre cose, maggiori poteri al Centro europeo per il controllo e la prevenzione della malattie (ECDC). In questo solco Health First Europe raccomanda di dare più compiti di monitoraggio sui dati. “I dati di sorveglianza relativi alle infezioni sono un elemento chiave di qualsiasi programma di prevenzione”, recita la raccomandazione numero tre del rapporto di fresca pubblicazione. “È importante promuovere il ruolo dell’ECDC per identificare, valutare e comunicare le minacce attuali ed emergenti per la salute umana rappresentate dalle malattie infettive”.
Gli ospedali devono comunicare ai sistemi sanitari nazionali il numero di casi di infezioni del sito chirurgico (SSI), tutte le infezioni che compaiono entro 30 giorni dalla procedura chirurgica (oppure, nei pazienti trapiantati, fino a un anno dopo) e interessano l’incisione o i tessuti profondi nel sito d’intervento. Poi gli Stati li comunicano all’ECDC, ma in questo percorso i dati si perdono e allora si chiede di provvedere anche a questo, nell’Unione della salute che verrà.
I dati a disposizioni di Health First Europe sono dunque da considerare come al ribasso rispetto al numero reale. I numeri più recenti parlano di 800mila casi di infezioni del sito chirurgico ogni anno in Europa, ovvero quasi il 20% delle infezioni associate all’assistenza sanitaria, con più di 16.000 decessi ogni anno. Si tratta dell’esito di malasanità e pratiche errate. Tra queste, la somministrazione di antibiotici dopo l’operazione.
Una corretta prassi medica prevede la somministrazione solo prima dell’intervento, e mai dopo eppure spesso in Europa accade questo. Risultato: le infezioni del sito chirurgico sono anche collegate alla resistenza antimicrobica. Il problema è più ampio, se si considera che in Europa circa due terzi delle 671.689 infezioni da batteri resistenti agli antibiotici sono associate all’assistenza sanitaria. Un allarme che era stato lanciato già nella precedente legislatura europea, con l’allora commissario alla Salute, Vytenis Andriukatis, che aveva avvertito di scenari inquietanti di fronte ai quali la Commissione europea guidata da Jean-Claude Juncker aveva assunto l’impegno a trovare un rimedio.
L’Italia non fa eccezione. Il rapporto di Health First Europe rileva che “nonostante prove chiare e linee guida per indirizzare le strategie di prevenzione delle infezioni operatorie, in Italia l’adeguamento è scarso”. Il sistema sanitario nazionale è dunque in ritardo nell’attuazione e nel rispetto degli indirizzi. Le società chirurgiche italiane negli ultimi anni stanno prendendo coscienza del problema e negli ultimi congressi nazionali hanno designato sessioni sulle infezioni in chirurgia per migliorare la conoscenza dei chirurghi italiani.
Individuare e affrontare il problema vuol dire innanzitutto evitare almeno 4.500 morti l’anno. Non solo, vorrebbe dire cancellare 32mila euro di spese sanitaria extra a paziente per il sistema sanitario nazionale, l’onere economicamente più elevato tra i principali membri dell’Unione europea. Mai come oggi, in piena emergenza COVID, avere soldi da spendere per potenziare reparti e strutture, e reclutare più personale sarebbe auspicabile. Health First Europe offre il pro-memoria all’Europa e ai suoi Stati.