Bruxelles – Alla fine Viktor Orban e Mateusz Morawiecki potrebbero aver dato l’ultima spinta in favore di quella “integrazione differenziata” all’interno dell’Unione europea che persone come Emmanuel Macron, ad esempio, sostengono da anni. Un’integrazione che li lascerebbe indietro.
I capi dei governi ungherese e polacco, con il veto fatto preannunciare dai loro ambasciatori a Bruxelles con il quale in sostanza si blocca la manovra da 1,8 trilioni faticosamente messa insieme per fronteggiare la crisi dovuta alla pandemia, hanno forse superato il segno, e sempre più insistenti si stanno facendo le voci di misure forti che supererebbero le loro opposizioni. Dalla Francia e dai Paesi Bassi in particolare si preme per studiare o una “cooperazione rafforzata”, esaltando al massimo uno strumento previsto dai Trattati ma fino ad oggi usato solo per cose “piccole”, come il brevetti, oppure un semplice accordo intergovernativo a 25 per costruire il Recovery fund, lasciando fuori Varsavia e Budapest. Intanto, naturalmente, la condizionalità dell’erogazione dei fondi allo stato di diritto andrebbe avanti, con un Parlamento assolutamente determinato a non fare passi indietro. Il veto, a questo punto, perderebbe ogni veleno.
Non sarebbe semplice, ma secondo alcuni si potrebbe fare, anche per mettere all’angolo due Paesi che con continue punture di spillo su argomenti spesso non di primo piano, in particolare in politica estera, stanno seriamente intralciando il cammino dell’Unione.